Under The Volcano, di Damian Kocur
Il secondo lungometraggio del regista polacco racconta l’invasione russa in Ucraina attraverso il racconto di formazione, mostrando una sincera vicinanza ai suoi personaggi. RoFF 19. Alice nella città

Una famiglia ucraina, durante l’ultimo giorno di vacanza a Tenerife, scopre dell’invasione russa. Rendendosi conto dell’impossibilità del rientro a casa inizia per i quattro un periodo di soggiorno forzato sull’isola, assistendo alle cronache di guerra attraverso i media – televisione, radio o via web. Ad essere raccontato quindi è proprio questa smagliatura tra paura e distacco, che il regista polacco Damian Kocur racconta, con questo suo secondo lungometraggio, adoperando la lente del racconto di formazione. Infatti, per quanto Under the Volcano sembri in apparenza un racconto colare, lo sguardo del regista si posa sulla figlia adolescente Sofia, indicandoci di fatto la reale protagonista di questa storia.
Gli stacchi su nero che Kocur effettua quando inquadra la ragazza sono la riprova, nei termini di puro linguaggio formale, di questa sua importanza e centralità del personaggio. Ad essere narrata è quindi una crescita adolescenziale, travagliata nel suo trascorrere questa permanenza obbligata a Tenerife. C’è poi un’idea che risulta essere vincente dietro questa scelta che consiste nel affermare questo processo di crescita per restituirlo a quelle persone che a causa di conflitti vengono esclusi da un processo di apprendimento del mondo naturale, spontaneo. Sofia è una ragazza timida e introversa, che nel rapporto con i coetanei dell’isola mostra le sue lacune quando si tratta di stringere amicizie ed essere naturale. Insomma, queste sono prassi del tutto fisiologiche, tappe fondamentali che tutti si trovano a dover affrontare. L’inserimento del conflitto off screen (sfruttato in un modo parecchio intelligente) ci parla quindi di una privazione che investe Sofia, e che spiega bene i danni che un conflitto porta con sé, in aggiunta a quelli provocati dalla morte e dalla devastazione che questo provoca.
Under the Volcano riesce ad entrare nella vita di questa famiglia sull’orlo della rottura insanabile, soprattutto grazie a un avvicinamento ai personaggi che risulta sincero e ben costruito. Nei momenti di più alto conflitto è tangibile un clima di disagio portato da qualcosa di più grande di loro; e in questo raffronto sono innegabili i rimandi a certi modi di fare cinema tipici di Ruben Östlund – specialmente nell’analizzare i ruoli dei singoli componenti nel rapporto tra gli uni e gli altri. Tra le tracce che Under the Volcano indaga sottotraccia poi sicuramente va citata la questione dell’immigrazione, che il regista porta avanti con il rapporto tra Sofia e Mike. Il momento di più alta affezione ai due personaggi infatti si manifesta proprio in un momento di dialogo durante il quale il ragazzo racconta dell’inferno che il viaggio in mare è stato per lui. Qui si avverte un reale slancio che porta il film ad elevarsi verso qualcosa di più e non parla solo di temi di facciata ma piuttosto si interessa alle situazioni messe in scene con intenzioni oneste e sentite.