Une vie démente, di Raphaël Balboni e Ann Sirot

In concorso al Bergamo Film Meeting in corso in streaming, un film tragico e tenero, in grado di emozionare e di aprire scorci di riflessione senza mai diventare retorico

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«Sotto dura stagion dal sole accesa». Così si apre il sonetto anonimo che accompagna L’estate di Vivaldi. Un concerto che i belgi Raphaël Balboni e Ann Sirot conoscono molto bene e sul quale compongono le immagini di Une vie démente, la loro opera prima di lungometraggio in concorso al 39° Bergamo Film Meeting. La dura stagione è l’esistenza stessa, come si preoccupa di ricordare Noémie al compagno Alex quando la madre di lui dà segni di demenza semantica e il sogno di fare un bambino sembra svanire. Infatti, non appena si rende conto che la donna che lo ha messo al mondo è malata, non più autosufficiente, e che la situazione potrà solo peggiorare, il giovane uomo entra in uno stato di shock. Come reagire? Come tenere i pezzi uniti? La realtà intorno alla coppia sembra sfaldarsi rapidamente e tocca correre ai ripari.
«Toglie alle membra lasse il suo riposo», apre il secondo movimento e la parte centrale della pellicola. La soluzione è trovare qualcuno che li aiuti, una figura professionale, consapevoli che per aiutare una persona però non basta essere competenti ma serve soprattutto restare umani. Suzanne, curatrice d’arte sessantenne, rappresenta una stella morente da fotografare senza paura, come nella mostra progettata da poco con un’artista che utilizza una stampante per imprimere i mutamenti dell’universo. I fogli verranno messi nell’acqua, di modo che l’immagine muti sotto l’occhio dello spettatore in tempo reale. Un po’ come accade ai personaggi del film durante lo scorrere della storia. Una trovata di scrittura notevole che diventa anche un’intuizione registica espressa dal montaggio ellittico dei dialoghi riguardanti il problema. Così, per quanto naturali, questi scambi diventano inevitabili e sconvolgenti. La fatale imprevedibilità della vita.

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«Ah che pur troppo i suoi timor sono veri» perché eludere la questione non basta più. Non serve fingere che questa storia troverà il suo equilibrio da sola e nemmeno prendere scorciatoie come la prescrizione di psicofarmaci. Alex deve cambiare, adattare la propria forma alla nuova realtà come l’inchiostro nell’acqua, e così giungiamo al momento in cui la decisione di fare un bambino non è più rinviabile. La chiave è nell’amore di Suzanne per l’arte e la musica, in una mostra in giardino, ne Le Quattro Stagioni di cui a questo punto sentiamo esplodere il furore estivo. In tempo Presto. Come l’esistenza che corre veloce. Un film tragico e tenero, in grado di emozionare e di aprire scorci di riflessione senza mai diventare retorico.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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