E’ il cortocircuito continuo tra set e quinta, a fare scoccare la scintilla delle accensioni più forti di questo nuovo film dei Vanzina, un ribaltamento reiterato nei confronti dei ‘confini della finzione’, per cui tutti i personaggi dei sette episodi mettono in scena la propria arte del recitare – proprio come nei film-rivista di Mario Mattoli come I pompieri di Viggiù. E l’apparizione finale del palcoscenico teatrale, dove Gigi Proietti si produce in un micidiale numero di farsa comica, clamorosamente porta a compimento tutto il gioco di rimpalli.
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“Oh, che se dice a Rivombrosa?”
Gigi Proietti entrando in scena nell’allestimento in costume
de La Signora Delle Camelie
In Un’estate al mare manca il mare. Mai che nessuno dei personaggi, nemmanco qualcuna delle bellone protagoniste, si faccia un tuffo in acqua, un bagno, una nuotata. Il mare resta lì come sfondo (e nemmeno in tutti gli episodi) – come quinta. E’ proprio il cortocircuito continuo tra set e quinta, a fare scoccare la scintilla delle accensioni più forti di questo nuovo film di Carlo ed Enrico Vanzina, che perde consapevolmente parte della meravigliosa deriva, quello slittamento dello sguardo che punzecchiava l’occhio che non lo riusciva a registrare, degli ultimi liberissimi Olé e 2061, a favore di un ritorno verso la formula a sketches e gag salde e strutturate. Per un attimo era sembrato che il felicissimo ‘fare-cinema’ dei Vanzina fosse diventato ancora più ‘resistente’ nel tentativo di opporsi alla oliatissima e inarrestabile macchina macina-euro della ditta Parenti/Brizzi/Martani. Un’estate al mare si può forse rivelare come un relativo passo indietro, ma con tutto lo stoicismo dell’applicare un ribaltamento reiterato nei confronti dei ‘confini della finzione’ – per cui Enzo Salvi, protagonista di un episodio bellissimo dove si ritrovano quelle magnifiche aperture malinconiche e tragicomiche degne dei migliori Vanzina, nel finale del suo frammento si ritrova ancora una volta a sbottare nel suo proverbiale ‘mammamiacommesto’ – a svelare, mandandola all’aria, l’impalcatura dello script. Certo è che infatti, tutti i personaggi dei sette episodi che compongono il film (non tutti purtroppo egualmente riusciti – il punto più basso è di sicuro la storia con Ceccherini, che resta di gran lunga lontana dalle trovate quasi ‘visionarie’ del suo cinema da regista…) mettono in scena la propria arte del recitare: Lino Banfi organizza tutta una messinscena per il suo ritorno a Peschici dopo decenni passati a fare il pizzaiolo in Svezia, fingendosi miliardario e sposo alla sventolona Victoria Silvstedt; Biagio Izzo è costretto ad inventarsi arredatore gay-chic per poter rifilare i suoi mobili-patacca ai neo-ricchi di Capri, spacciandoli per grande antiquariato; Ezio Greggio si comporta da innamorato della gigantesca moglie, cantante lirica dalla ugola d’oro, per poter continuare ad usufruire dei lauti guadagni della donna; ed Enzo Salvi è un poveraccio che riempie il figlio di bugie (conosce Totti, ma il numero sul cellulare è in realtà quello del macellaio della “Macelleria Er Pupone”, guida una spider che invero sta andando a consegnare al commendatore che l’ha acquistata dalla concessionaria in cui lavora…), di cui il bambino si rende subito conto, ma che non svela pur di continuare a stare al gioco del padre. Allora, se davvero il film deve qualcosa ai modelli della commedia all’italiana, come i due aut
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ori continuano a ripetere, lo deve per quanto si dimostra vicino ai film-rivista di Mario Mattoli come I pompieri di Viggiù e Il più comico spettacolo del mondo: pellicole che assemblavano gioiosamente irresistibili numeri di varietà e avanspettacolo. In quest’ottica, l’episodio con i due amanti, Brignano ed una sorprendentemente efficace Nancy Brilli, chiusi nell’ascensore, è rivelatorio: completamente basato sulla bravura degli interpreti, è costretto ad un inamovibile campo medio dall’angustia del set. Lontano, su di uno yacht ancorato al porto di San Felice Circeo, i rispettivi coniugi rendono pan per focaccia ai due fedifraghi intrappolati – e tra l’altro, questa sorta di contrappasso è comune ai finali di tutti gli episodi, come fossero quasi parte di una delle raccolte di Freddie Francis. L’apparizione finale del palcoscenico teatrale nell’anfiteatro di Porto Rotondo, dove Gigi Proietti si produce in un infallibile e micidiale numero di farsa comica che i Vanzina si giocano come splendente asso nella manica, clamorosamente porta a compimento tutto il gioco di rimpalli su cui si è fondato il film. Il pubblico della rappresentazione ride alle volgarità inconsapevoli di Proietti, tutti battono le mani nel finale, l’attore concede il bis. L’avete voluto? Ok: Proietti ripete la battuta con parolaccia annessa, il sorriso sornione in volto. Boati di risate. Applausi. Sipario. Come il Nerone di Pratolini: più bella e superba che pria…
Regia: Carlo Vanzina
Interpreti: Lino Banfi, Massimo Ceccherini, Enrico Brignano, Ezio Greggio, Gigi Proietti, Nancy Brilli, Anna Falchi, Victoria Silvstedt, Alena Seredova
Distribuzione: Medusa
Durata: 115'
Origine: Italia, 2008
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Magari il Nerone di Petrolini… 😉