Unfriended: Dark Web, di Stephen Susco

Timur Bekmambetov e Jason Blum uniscono nuovamente le forze per il secondo capitolo della serie Unfriended, ovvero la versione più disimpegnata e veloce del genere che lo stesso Bekmambetov ha battezzato come “Screen Life” (portato avanti dal cineasta sia dietro la mdp con Profile che produttivamente con Searching), e cioè il desktop movie tutto girato dalla prospettiva di un utente al pc, in cui il POV è quello dello schermo del device, senza fuoriuscite nel “reale”.
Altri titoli integrano nella narrazione anche i monitor mobile, e gli Unfriended sono gli unici esempi di opera di questo tipo che segue gli avvenimenti in tempo reale: le potenzialità per una cinematografia low budget davanti a uno storytelling simile sono evidenti, tutto sta nel padroneggiare le forme del racconto insite nelle nostre chat, bacheche, mail, videochiamate, playlist musicali e hard disk di foto e video.

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A metà tra found footage e mockumentary, è una modalità (innalzata a vette sopraffine nel prodotto seriale di Netflix American Vandal) che porta con sé una riflessione su quanto i nostri occhi si siano oramai abituati a vedere “male”, immagini sgranate, movimenti intuiti sotto i pixel, riquadri di player neanche allargati a schermo intero: ovviamente nei territori Blumhouse non c’è tempo di fermarsi a ragionare di teoria, i franchise vanno espansi finché reggono. E così, dopo il prototipo che in sostanza sfruttava soprattutto l’espediente della videochat di gruppo come una sorta di seduta spiritica a distanza con demone malefico innestato tipo virus, Stephen Susco porta il suo contributo con un episodio che lambisce il deep web per recuperare toni vicini in realtà più all’universo di The Purge, per restare in zona Blum.
Il regista esordiente Susco, una solida carriera di sceneggiatore dietro a remake di successo come The Grudge e Texas Chainsaw 3D, lascia ben presto perdere infatti la pista soprannaturale dietro il brutto guaio in cui si sono infilati il protagonista e i suoi amici a voler curiosare troppo in un laptop abbandonato ad arte dentro un internet café, e si butta con gioia in un intrigo di snuff video e oscure community della rete che scommettono i propri bitcoin sulla morte in diretta, più o meno atroce, di anonime vittime.

Il meccanismo tiene perché basato su quella tentazione pruriginosa di controllare le cartelle nascoste e le copie cache dei dispositivi che non ci appartengono ma che per un motivo o per l’altro transitano dai nostri polpastrelli, e Susco fa la scelta giusta di non tirarla troppo per le lunghe.
D’altronde, si tratta di prodotti costruiti su capacità combinatorie, come il puzzle di link possibili e inespressi presenti in ogni angolo dei nostri desktop: e infatti, di Unfriended: Dark Web esistono una manciata di finali differenti a seconda delle versioni, tra sala e home video, in cui potreste incappare. A conferma dell’animo da interfaccia affastellata di finestre aperte che l’esperimento dimostra ad ogni scelta lasciata allo spettatore, all’utente, o alla macchina.

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