(unknown pleasures) – A Letter to Elia, di Martin Scorsese e Kent Jones
Scorsese davanti la macchina da presa si mette a nudo con una sincerità disarmante, certamente superiore a quella che oggi mette in gioco quando è dietro la macchina da presa. Il modo in cui parla dei film, dei registi amati, il modo in cui si lascia andare, raccontando il cinema e se stesso… E’ sconvolgente, perché ci appartiene…
Che cos’è un regista? Cosa deve guardare? Dove deve posare l’occhio per lasciare una traccia di sé, della propria personalità, della propria visione?
E’ un gioco a due questo A Letter to Elia. O meglio un gioco tra un uomo e uno spirito. Due destini simili.. Entrambi figli di un’altra terra, entrambi arrabbiati, in cerca di riscatto. E proprio con la traversata di America, America si apre questa magnifica dichiarazione d’amore, che parla di sofferenze e ossessioni. Il sogno di un altro luogo in cui vivere finalmente in pace. E l’illusione di averlo raggiunto, nonostante tutto, nonostante gli ostracismi, le inchieste e le inquisizioni. Mi arrabbio quando si parla male di questo Paese – dice Kazan, letto da Elias Koteas – perché so come si sta dall’altra parte. E poi si continua attraverso altre immagini e altre storie e altre parole. Da Un albero cresce a Brooklyn e Boomerang – l’arma che uccide a Fronte del porto e La valle dell’Eden, per tornare infine a Il ribelle dell’Anatolia, “il film più personale”.

E qui entriamo in gioco noi, aprendoci un varco nel dialogo privato. Scorsese davanti la macchina da presa si mette a nudo con una sincerità disarmante, certamente superiore a quella che oggi mette in gioco quando è dietro la macchina da presa. Il modo in cui parla dei film, dei registi amati, il modo in cui si lascia andare, raccontando il cinema e se stesso… E’ sconvolgente, perché ci appartiene… E non importa se lo sguardo critico e l’esegesi sia originale o meno. La capacità di Kazan di dirigere gli attori, di far venir fuori la verità profonda della loro anima (perché al cinema la mancanza di verità non perdona), la verità dei volti, degli ambienti, la modernità dei temi e dei conflitti… Sono tutte cose a cui pensare dopo. Quello che conta è la capacità di Scorsese di connettere le immagini alla vita, di cogliere il turbine di sentimenti che ne segnano la genesi e la fine, e di riportare questi sentimenti a sé, a noi, al nostro vissuto muto. E così il dialogo decisivo tra Marlon Brando e Rod Steiger in Fronte del porto non è solo la scena culminante in cui due grandi attori danno il meglio di sé, E’ soprattutto il momento in cui si manifesta in tutta la sua disperata potenza la sensazione e la nota paura di essere traditi. Vedere Dean ne La valle dell’Eden e rivedere la propria inquietudine…