(unknown pleasures) – "Snowtown", di Justin Kurzel

Daniel Henshall in Snowtown

Non è l’atto a esserci mostrato, ma la normalizzazione della violenza, il suo farsi quotidiano. La capacità di Kurzel sta nell’aggirare la quantità oscena di elementi ripugnanti a cui qualsiasi regista desideroso di creare scalpore avrebbe ricorso, perché l’orrore di Snowtown risiede altrove

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Daniel Henshall in SnowtownIL FILM

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Per tre volte l’oscurità è totale. Solo tre volte, eppure il buio è sempre sullo schermo. Ma solo tre volte si passa al nero reale, la soggettiva del cadavere nel barile, la vista occlusa dal sangue incrostato sugli occhi.

Basta una parola per incupire il volto di un cittadino australiano. Snowtown. Non serve altro per far affiorare alla mente undici cadaveri, quattro persone coinvolte, compreso un sedicenne, utensili di tortura, corpi a pezzi nascosti dentro a barili neri, seguiti da sentimenti di vergogna, incomprensione o disgusto. Ma di tutto questo non vediamo che pochi frammenti. Sembra di assistere a una violenza continua, ma solo dopo i titoli di coda ci si rende conto che solo un omicidio è stato mostrato per intero. La capacità di Kurzel sta nell’aggirare la quantità oscena di elementi ripugnanti a cui qualsiasi regista desideroso di creare scalpore avrebbe ricorso. I documenti ufficiali riguardanti gli omicidi parlano di torture prolungate, accessori da ferramenta, cavi elettrici, smembramenti e cannibalismo. Ma l’orrore di Snowtown risiede altrove.

 

Lucas Pittaway in SnowtownLa vera violenza è quella che si nasconde dietro al volto paffuto di John Bunting, al suo perenne sorriso e ai suoi occhi dolci. Quello sguardo che non incrocia mai la macchina da presa, ma che fissa impietoso senza mai abbassarsi.
A ricevere lo sguardo, gli occhi bovini di Jamie, sedicenne succube di violenze continue, incapace di reagire in qualsivoglia modo. Il malato rapporto padre-figlio che si viene a creare fra i due è costruito in egual misura sull’amore e sul sopruso. Non è l’atto a esserci mostrato, ma la normalizzazione della violenza, il suo farsi quotidiano. Tutto è interno, tutto è mura domestiche scrostate e televisione perennemente accesa. L’esterno riserva solo spazzatura e pozzanghere non abbastanza profonde per affogarci dentro. La storia procede per ellissi, e nonostante la densità degli avvenimenti è percepibile la sensazione costante del vuoto. Kurzel devia spesso dal percorso, ricorrendo a pause visive che lungi dal raffreddare la storia ne amplificano la tensione sotterranea. I posacenere colmi d’acqua, le strade dissestate, mentre la voce dei morti si fa rauca per l’ultima volta. È nel rovesciamento delle situazioni comuni che il seme dell’angoscia germoglia: è il gelato usato dai ragazzi non come merenda ma come arma per imbrattare con la scritta fag l’abitazione del loro molestatore, è la madre in posizione fetale nella vasca dove poche prima è stato torturato e ucciso suo figlio.

 

Ma seppure il film appaia attraverso lo sguardo di Jamie, la naturalezza con cui Kurzel costruisce l’ambiente circoscritto entro cui si svolge la vicenda fa sì che ogni personaggio, anche per poche battute, riesca senza prepotenza a espandere la sua storia oltre i confini stessi del film. È tutto un interno, ma si percepisce sempre un fuori, una contemporaneità d’azione, una vita che continua inconsapevole di ciò che accade davanti alla camera. Quei volti stanchi, quelle mani tremanti, quelle sigarette strette fra le labbra continuano a esistere anche senza essere inquadrate. Solo il nero può metterle a tacere.

 

IL REGISTA

 

Nonostante Snowtown sembri uscire dagli occhi e dalle mani di un regista con anni di esperienza alle spalle, solo un corto e due video musicali precedeno il primo lungometraggio di Justin Kurzel. Cinque anni intercorrono fra Blue Tongue e Snowtown, tempo trascorso non tanto a ricostruire il fatto di cronaca su cui il film si basa, che a detta del regista è impresso nella mente di ogni cittadino australiano, quanto il capire con che distanza trattare una storia così ripugnante. Ed è proprio l’umanità con cui l’argomento viene esposto ad elevare il film al di sopra dei numerosi crime movie che hanno recentemente portato all’attenzione il cinema australiano, facendo guadagnare al film la Menzione Speciale all'interno della Settimana della Critica di Cannes 2011, oltre a cinque AACTA Awards nella nativa Australia.

 

Nei progetti futuri di Kurzel risulta una dark comedy ancora in fase di elaborazione, Ivan Lendl Never Learned to Volley, basato in parte sull’esperienza come giovane tennista professionista del regista, che definisce il progetto come “un incrocio fra Submarine e Rushmore”. Già in preproduzione risulta invece l’adattamento del Macbeth di Shakespeare, che si avvale della presenza di Michael Fassbender e Marion Cotillard come protagonisti. Per il 2014 è invece previsto l’adattamento del libro Our Kind of Traitor, libro thriller di John le Carré che vedrà nel cast Ewan McGregor, Ralph Fiennes e Mads Mikkelsen.

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