Valdarno Cinema Fedic – Lou Castel e gli autori presentano A PUGNI CHIUSI

Lou Castel, Pierpaolo De Sanctis, Alessandro Aniballi e Giordano De Luca ospiti del festival: un ritratto sui generis dell’esperienza attoriale, politica e personale dell’icona de I pugni in tasca

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Ero andato a conoscere Lou come cinefilo, ma già dietro quell’intervista avevo visto in lui un uomo. C’è voluto tempo perché l’idea maturasse, però ne è valsa la pena.” Pierpaolo De Sanctis, ospite al Valdarno Cinema Fedic accanto a  Lou Castel, ha raccontato la lunga e complessa esperienza di A pugni chiusi, doc interamente dedicato al protagonista de I pugni in tasca, alla sua militanza politica e alla concezione dell’atto recitativo, decisamente sui generis rispetto al pensiero comune. “È stata la mia interpretazione migliore perché ho sempre sognato di recitare così. Il progetto si è prolungato per otto anni, ma in una settimana le riprese erano praticamente fatte, ed è questo il bello. Con Pierpaolo è nata una comunicazione basata sulle azioni; non ci sono state polemiche o discorsi sull’approccio filmico”.

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Il titolo del documentario si rifà alla celebre foto dell’Ansa che ritrae Castel davanti all’aereo che lo riportò in Svezia, suo paese natale, dopo l’espulsione dall’Italia. Un film indubbiamente slegato dal canone classico, privo di interviste o testimonianze dei suoi compagni di viaggio, ma altrettanto presenti in una ricostruzione conferita ai luoghi, a immagini fugaci ed emblematiche delle sue scelte artistiche: “Io e Lou eravamo collegati in cuffia, parlandoci a distanza. Andavamo insieme, ma era soprattutto lui che parlava a me. Dirigersi e sentirsi diretto: questa tecnica ha permesso una grossa libertà creativa. Da regista, ho fatto un passo indietro, ho allentato le mie idee e paradossalmente sono riuscite meglio”. Prima dell’approdo al Valdarno Cinema Fedic, A pugni chiusi è passato sia al Festival del Cinema di Torino che al Laceno D’Oro di Avellino: “La reazione è sempre diversa. È molto bello vedere che qualcosa passa negl’occhi degli spettatori. Quello che ho fatto, assieme a Lou e ai miei sceneggiatori, Alessandro Aniballi e Giordano De Luca, arriva e appartiene al pubblico. Per un film indipendente, sono queste le proiezioni che lo fanno vivere. Il film non esiste se non viene visto dagli spettatori”.

Castel ha prestato corpo e voce a cineasti di grande fama- Marco Bellocchio, Rainer Werner Fassbinder, Wim Wenders– ma riguardare quel cinema a posteriori, tentando un’analisi, sembra difficile per chi quel cinema l’ha abitato: “Non riesco a vedere quel periodo dall’esterno. Sono stato fortunato a ribellarmi; ci sono stati altri che l’hanno fatto, parliamo di quelli che militavano nella sinistra radicale. Ricordo l’esperienza de Il Gattopardo di Luchino Visconti. Dopo le mie otto ore di lavoro da figurante, volevo andare via. Potevo anche rifiutare un Visconti. Essere ribelle era un destino. Dopo l’espulsione dall’Italia, ho lavorato con Wenders e Fassbinder. Quell’esperienza mi ha motivato come attore ma pure alla militanza. Fassbinder, ad esempio, entrava in campo e recitava con me, mentre Bellocchio aveva la cinepresa come sua alleata: i primi piani non erano mai studiati”.

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