VENEZIA 59 – Il cuore nero di Clint: "Blood Work" di Clint Eastwood (Fuori concorso)

Dietro questo altro grande film, il cinema di Eastwood continua a conservare la propria "fascinazione", affidandosi anche all'abile scrittura di Brian Helgeland, nel dare vita a una forma rarefatta di "post-noir".

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E' un'apparizione costante sempre più rarefatta il corpo di Clint Eastwood. Già da Gli spietati posto sotto il segno della sua sparizione, in Blood Work (che in Italia verrà distribuito col titolo Debito di sangue), nei panni dell'agente del FBI Terry McCaleb, appare all'inizio come un Callaghan senile dal momento in cui scende dall'automobile. C'è già in quest'immagine tutta una tradizione eastwoodiana che ricompone i frammenti del passato, che dilata i tempi di un poliziesco che vive più su provvisorie intermittenze piuttosto che sull'azione. C'è in Blood Work un'autentico senso di malinconia nel riaffrontare il genere ma anche quel respiro di Morte che sembra sempre più caratterizzare l'ultima fase dell'opera di Eastwood, da Mezzanotte nel giardino del bene e del male a Fino a prova contraria a Space Cowboys. Eastwood pone il proprio corpo davanti all'obiettivo specchio della macchina da presa (come nello struggente momento in cui si ri/guarda mostrando la cicatrice dell'operazione sul petto del proprio corpo), annulla progressivamente il movimento del suo personaggio, attraverso un'immobilità come il James Stewart hitchcockiano di La finestra sul cortile. McCaleb, dopo l'infarto che l'ha colto durante l'inseguimento a "Cody Killer" e il conseguente intervento cardiaco, sembra ormai agire più tramite lo sguardo che con il proprio corpo. Il filmato video, attraverso il quale rivede il momento dell'omicidio della sorella di Graciella (a McCaleb è stato trapiantato proprio il suo cuore), non è altro che la scelta del regista/personaggio che, come il protagonista hitchcockiano, sceglie volutamente la propria immagine, annotando i tempi dei movimenti, accumulando dettagli. Non conta solo lo sguardo ma soprattutto il punto di vista, l'angolazione da cui si vede l'immagine. Se in quel capolavoro di Potere assoluto il "luogo di ripresa" era il nascondiglio dietro un armadio, in Blood Work lo spazio è più ampio ma anche più indefinito. L'occhio di McCaleb quindi come l'occhio del fotografo di I ponti di Madison County: un'angolazione prospettica apparentemente oggettiva, in realtà di parte, che ci proietta non solo visivamente ma sentimentalmente dentro il cuore nero di Clint, che in Blood Work continua a vivere grazie a quello di una ragazza di colore, che crea una complicità con Graciella da un punto di vista epidermico.

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Dietro questo altro grande film, il cinema di Eastwood continua a conservare la propria fascinazione, affidandosi anche all'abile scrittura di Brian Helgeland (lo stesso sceneggiatore di L.A. Confidential). Blood Work quindi è autentico post-noir, fortemente eroico proprio nell'atto in cui Eastwood toglie possibilità di azione fisica al proprio personaggio, ma anche costruito con una classicità ormai collaudata soprattutto nel finale, nel progressivo smascheramento dell'omicida che, insospettato e quasi complice, aveva sempre vissuto fino a quel momento accanto alla barca di McCaleb.

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