VENEZIA 59 – "L'anima gemella" di Sergio Rubini (Controcorrente)

Lo sperimentalismo di Rubini appare più convincente delle opere precedenti anche se ruoli secondari sono ancora troppo tipizzati ed è ancora eccessivamente insistita la caratterizzazione dialettale. Ma forse è proprio da opere come "L'anima gemella", nei momenti più liberi, che potrebbe ricrearsi una nuova forma di "commedia all'italiana"

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Sembra ritornare nostalgicamente su un'Italia del passato L'anima gemella. Se nel precedente Tutto l'amore che c'è Rubini aveva rappresentato squarci di "educazione sentimentale" in un paesino della Puglia intorno alla metà degli anni Settanta, stavolta il Tempo appare più indefinito (possono essere gli anni Cinquanta come gli Ottanta) anche dai colori neutri, quasi pastellati, della fotografia di Paolo Carnera.

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Dentro L'anima gemella Rubini lascia esplodere la malattia della passione – quella di Teresa, la figlia di un ricco commerciante di pesce, che viene abbandonata sull'altare da Tonino perché questi è innamorato di Maddalena – facendo muovere i personaggi sulle strade di una Puglia solare e accecante, che sembra quasi consumare, bruciare i corpi. Dentro il film c'è ancora la presenza della terra che accompagna gli spostamenti come Il viaggio della sposa, c'è quella rottura di quei riti tradizionali che provocano disordine (il matrimonio non celebrato come l'arrivo delle ragazze milanesi di Tutto l'amore che c'è). Scritto da Rubini assieme a Domenico Starnone, L'anima gemella prosegue sulla quella fuga dal genere che ha spesso caratterizzato il cinema di Rubini; in quest'ultima opera, questa linea sperimentale convince comunque maggiormente delle opere precedenti, in quanto la follia dei personaggi si mescola con forza con i colori degli ambienti. L'opera è così pervasa da un'affascinante ebrezza, da una magia secolare che assume subito le deformazioni del grottesco, con una recitazione delle due interpreti (Valentina Cervi e Violante Placido), volutamente esagerata, che si scambiano i ruoli come Travolta e Cage in Face/Off, o che insistono marcatamente su ogni loro gesto per esibirlo (il modo in cui Valentina Cervi si mette il rossetto sul viso ha quasi echi lynchiani).


Forse Rubini (che nel film si ritaglia il ruolo di un barbiere truffatore) sembra non fidarsi ancora di quell'autonomia di sguardo che, al sesto film da regista, sembra aver raggiunto, affidandosi ogni tanto a un'eccessiva tipizzazione dei ruoli secondari o a una sovrabbondanza dialettale che rimarca eccessivamente la collocazione geografica. Eppure, nei momenti più liberi, è proprio da opere come L'anima gemella che potrebbe ricrearsi una nuova forma di "commedia all'italiana" – sempre però al limite del genere, come tutto il cinema di Rubini regista – che possa non affidarsi prevalentemente a quel "contrasto della parola", limite/eredità che il cinema italiano si porta dietro fin dagli anni Cinquanta.

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