VENEZIA 59 – "My Name Is Tanino", di Paolo Virzì (Fuori Concorso)

Opera già calcolata per piacere, ma al tempo stesso con quell'atteggiamento di superiorità intellettuale che si nega di lasciarsi racchiudere nella formula del cinema commerciale. Tutto l'universo che gira attorno a Tanino è infine composto di figure volutamente deformate ma inconsistenti, alle quali viene negata la minima possibilità di esistenza

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Residui della "commedia all'italiana". Con My Name Is Tanino il cinema di Virzì si continua a basare sulla combinazione della struttura degli equivoci (con il personaggio di Tanino sempre a disagio rispetto al luogo in cui si trova) con l'accentuazione del cinema dialettale. Un cinema, quello del regista toscano, che continua a raccontare sempre singole esperienze (sembra che il soggetto sia basata su un'esperienza vissuta dallo stesso Virzì e dallo sceneggiatore Francesco Bruni nel New England), ricorrendo a quei piani ravvicinatissimi sul volto straniato del protagonista e dall'uso insistente della voce fuori-campo. My Name Is Tanino rompe le barriere di quel set ristretto di Ovosodo e La bella vita per andare in trasferta negli Stati Uniti (il New England e New York). Tanino così diventa elemento destabilizzatore: costringe la famiglia di una ragazza americana che lo ospita (conosciuta a Castelluzzo) al divorzio; viene forzatamente introdotto nella famiglia dei Li Causi, che da anni ha fatto fortuna negli Stati Uniti, ai quali viene in mente di farlo sposare con la figlia complessata del sindaco italoamericano Omobono.

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L'indagine del sociale di Ovosodo si è fortunatamente affievolita in My Name Is Tanino. Il cinema di Virzì continua ad essere troppo scritto, con gli accenni alla situazione politica del paese che continuano ad apparire come segni isolati e non possiedono un minimo delle caricature graffiante e grottesche che il film sembra proporsi. Virzì continua a giocare sul "sicuro", su un cinema di facile immedesimazione e con una formula stilistica così elementare da instaurare l'immediato approccio con lo spettatore. Dalla lettera iniziale di Tanino all'amico Giuseppe, si penetra nella recente memoria del protagonista che sembra guidarci con la sua voce nei suoi avvenimenti più recenti. My Name Is Tanino quindi come opera già calcolata per piacere, ma al tempo stesso con quell'atteggiamento di superiorità intellettuale che si nega di lasciarsi racchiudere nella formula del cinema commerciale. Così i riferimenti alla realtà della provincia siciliana con uno sguardo a Pietro Germi e un altro a Roberta Torre, così la figura creata del cineasta Chinawsky che serve come pretesto per una coincidenza di uno sguardo di un protagonista che diventa cineasta (in effetti è lo sguardo di Tanino che ci fa vedere la realtà attraverso i suoi occhi e la sua voce, negandoci ogni minima possibilità di scelta su cosa guardare) e per una riproposizione della scena dell'esame di Eccebombo di Moretti. Tutto l'universo che gira attorno a Tanino è alla fine composto di figure volutamente deformate ma inconsistenti, con le caratteristiche che si replicano anche in più personaggi (dal capofamiglia dei Li Causi a tutti gli altri componenti) negandogli così anche la minima possibilità di esistenza. Frammenti della memoria, improvvisi flash  che tentano la strada di un "cinema della seconda realtà" alla Antonioni (il momento in cui appare il volto del capofamiglia dei Li Causi nella scena dell'omicidio del padre), slanci della mente ricompongono un'esistenza che può suscitare simpatia ma non appassiona mai.


Quello di Virzì continua ad essere un cinema furbo, ruffiano, che sa scegliere i tempi dell'utilizzo della canzone giusta al momento giusto (la partenza di Sally dall'aereoporto italiano). Purtroppo non si crede mai alla sua buona fede, ben lontana a quell'ingenuità totale ma estremamente sincera dei Vanzina. Per un cinema italiano in trasferta negli Usa, attrae molto di più, nella sa dichiarata spudoratezza, Vacanze in America.

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