VENEZIA 61 – "A home at the end of the world", di Michael Mayer (Mezzanotte)

Una fiera degli stereotipi che con molta generosità si può perdonare quella che l'esordiente Mayer ci propina: merito non certo di una sceneggiatura che brilli per originalità e sottigliezza ma di un trio d'attori di valore (Farrell-Wright Penn-Spacek) che fa quel che può per risollevarsi dal pantano delle proprie battute dissipandosi nella corporeità

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Una fiera degli stereotipi che molta generosità si può perdonare quella che l'esordiente Mayer ci propina: merito non certo di una sceneggiatura che brilli per originalità e sottigliezza ma di un trio d'attori di valore (Farrell-Wright Penn-Spacek) che fa quel che può per risollevarsi dal pantano delle proprie battute dissipandosi nella corporeità. Dopo un inizio felice con un notevole quanto sconosciuto Erik Smith nella parte del Bobby adolescente, giovane angelicato che ha deciso di eternare la bellezza a tutto tondo del fratello maggiore prematuramente scomparso raccogliendone incosciamente il testimone, la naturalezza del rapporto di scoperta (omo)sessuale con l'introverso amico del cuore Jonathan e una gustosa scena in cui Bobby convince la madre dell'amico (Alice/Sissy Spacek) a pausare il ruolo di madre e scoprire le "rappacificanti gioie" di uno spinello, il salto temporale alla giovinezza mette in campo con la Clare di una sempre splendida ma tendente allo stucchevole Robin Wright-Penn un terzo elemento equilibrante-destabilizzante la coppia amicale mascolina che inizia a doversi dibattere in preda alla fasulla a-schematicità di Lui omosessuale innamorato dell'altro Lui bisessuale "fall in love" di entrambi come Lei. E a creare una altrettanto ingannevole sensazione di fertile benessere contribuisce anche la colonna sonora: una sequela magari piacevole per il padiglione auricolare in sé per sé, ma troppo spesso imbarazzante nella connessione orecchio-mente stanca dell'imperversare di Dylan, Jefferson Airplain, Bacharach, Paul Simon, Leonard Cohen (anche il pur sublime Mozart operistico di "Così fan tutte" è puro vezzo consunto dall'uso) e "Because the night" eseguita da Patti Smith. Talvolta però, inutile negarlo, possiede una sua provocatoria dolcezza farsi cullare dalla banalità durante un festival che, per statuto, continuamente ti bombarda con tentativi spesso falliti di voler trasmettere grandi messaggi, di fare impeccabile cinema puro, di stupire intellettualoidemente o per vuota depurazione e chi più ne ha più ne metta.

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