VENEZIA 61 – "Criminal", di Gregory Jacobs (Orizzonti)

Jacobs deve aver preso dal suo ex-mentore Soderbergh il gusto per il remake: questo suo poco brillante esordio è la spudorata copia-carbone hollywoodiana del discreto argentino "Nove regine": da un francobollo ad una banconota falsa il passo è impercettibile come la motivazione che ha spinto la Mostra ad accettarlo, forse, con una certa leggerezza

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Assistente di Roland Joffé, Schlesinger, Linklater e Sayles lo statunitense ha impugnato lo sfavillante e oneroso scettro del director, ma non ha trovato niente di meglio che un remake di stringente, anzi soffocante aderenza. E Jacobs deve aver preso dal suo ex-mentore Soderbergh (10 film con lui) il gusto del remake: questo suo poco brillante esordio è la spudorata copia-carbone hollywoodiana del discreto argentino Nove regine: da un francobollo ad una banconota falsa il passo è impercettibile come la motivazione che ha spinto la Mostra ad accettarlo, forse, con una certa leggerezza. L'interessante sezione "Orizzonti" (ovvero la sezione "ControCorrente" della passata edizione), che ospita autori e pellicole di valore come Araki e il suo Misterious skin, Marra con Vento di terra, Tsukamoto con Vital, Miike e lo smisurato Izo, ospita anche questo film che trattiene appena o respinge recisamente lo spettatore: se non ti dice niente la trama è una pausa non particolarmente tossica dall'impegno festivaliero anche se le robuste spalle di un John C. Reilly, quelle di emergente interesse di Diego Luna e la sorprendente interprete del notevole Secretary Maggie Gyllenhaall potevano essere sfruttate molto meglio altrove; se invece hai già visto l'originale è irrefrenabile il desiderio di uscire di sala per tuffarti a qualche anteprima mondiale o, meglio ancora, alla visione di qualche film che è facile che tu non possa vedere mai più. Comunque sia il problema di fondo di Criminal e della pratica indiscriminata del remake nel cinema moderno, sta tutto in quel "ho visto Nueve reinas e l'ho trovato un bellissimo film del quale si poteva fare una versione americana" che Jacobs dichiara con la leggerezza di quel novellino del cinema che non dovrebbe più essere da un pezzo. Risulta, infatti, veramente arduo anche con tutta la buona volontà e predisposizione scovare un motivo (ambientale, psicologico, sociale…) per dare sostanza a questa operazione senza guizzi di sorta. Forse per venirgli incontro lo si potrebbe vedere come un salutare ritratto della vita quotidiana di modesti ladruncoli Usa scevri, per una volta, dall'utilizzo di iper-tecnologie tipicamente a stelle e striscie, ma europeizzati invece in un genuina creatività illegale nella quale si gioca sui resti, si strappano artigianalmente angoli di bancanote e via dicendo. Ci vogliamo accontentare?

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