VENEZIA 61 – "I fratelli Dinamite", di Nino e Toni Pagot (Italian Kings of the B's)

Com'era l'Italia del '49, quella del dopoguerra, abbondamente pre-boom insomma? Beh, se la lente attraverso la quale guardare il nostro Paese fosse stata il gioiello "I fratelli Dinamite" di Nino e Toni Pagot, sarebbe parso che l'Italia avesse vinto la guerra e stesse vivendo nella floridità e nel disincanto. Purtroppo la realtà era ben diversa…

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Com'era l'Italia del '49, quella del dopoguerra, abbondamente pre-boom insomma? Beh se la lente attraverso la quale guardare il nostro Paese fosse stata I fratelli Dinamite di Nino Pagot, sarebbe parso che l'Italia avesse vinto la guerra e stesse vivendo nella floridità e nel disincanto. Purtroppo, come ben sappiamo (e, ancora meglio di noi, i nostri nonni), la realtà era ben diversa. E proprio qui sta la forza d'irriverente tonico di questo splendido, primo lungometraggio d'animazione italiano (prestigio diviso col coevo La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini) nonché il primo girato in Europa a colori (quelli smaglianti del Technicolor) e ripresentato al Lido dopo 55 anni di oblio, in una versione restaurata dalla Fondazione Cineteca Italiana, come apertura della suggestiva e coraggiosa sezione "Italian King's of the B's". Germinato nel pieno della seconda guerra mondiale dai Pagot, milanesi "fratelli Disney" che nel '46 fondarono il primo studio d'animazione in Italia strutturato in proiezione industriale, I fratelli Dinamite possiede l'esplosiva libertà creativa di chi sa far arte con pignoleria assoluta (il tremolìo delle zampe di un'animale sotto sforzo fisico) e con umanità fiabesca capace di elevare e allontanare dalle tragedie bestiali dell'Uomo, invischiato nella guerra. Viaggiando a bordo delle avventure a episodi di questi tre " enfants terrible", cellule anarchiche cucite insieme dalla zia narratrice che intrattiene britannicamente le amiche durante il the, prima di arrivare alla pirotecnica e celebre sequenza del Carnevale veneziano in chiusura si fa anche una capatina inquietante e horrorifica all'Inferno, dominato da un Diavolo orfeicamente rabbonito dal potere della musica così come suadenti note avevano irretito omericamente poco prima questi Qui, Quo, Qua nostrani. Ben prima dell'autorialità altrettanto raffinata di Bozzetto e di quella più scheletrica ma non meno efficace del contemporaneo D'Alò, i fratelli Pagot sono un vaso di Pandora affascinantemente sbilanciato ora verso il grottesco ora verso il caricaturale, paradigmatici di come si dovrebbe realizzare un cartoon e capaci di produrre un classico che profuma di un epoca in cui sapori, odori, colori, forme erano tutti genuini, senza fastidiosi additivi, fase che si sarebbe prolungata il decennio successivo con la nascita della Tv che avrebbe portato nelle case la mai dimenticata Linea e tante altre memorabili invenzioni animate, veicolate dal tubo catodico.

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