VENEZIA 61 – "P.S.", di Dylan Kidd (Settimana Internazionale della Critica)

Kidd si riconferma finissimo cine-pittore figurativo del genere umano. L'astrattismo, come al giovane artista che conquista una Laura Linney che incanta, non gl'interessa. Dialoghi assai acuti, una direzione degli attori perfetta, uno stile impalpabile come zucchero a velo e una colonna sonora di gioiosa melanconicità sono i suoi marchi di fabbrica

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Come nessun fiocco di neve è uguale all'altro, anche nessun amore può ricadere in modo identico dal cielo una seconda volta sul capo dell'altra metà del cuore. O almeno così snocciola il buon senso scientifico nel caso del latteo cristallo d'acqua e quello nato dalla pratica affettiva nel secondo. Kidd e il suo notevole P.S. demoliscono in un certo senso entrambi, illudendoci che sciamanicamente si riaffacci alla vita della trentottenne Louise (Laura Linney), selezionatrice di giovani talenti alla Columbia University' s School of Fine Arts, il grande, adolescenziale amore liceale perito in un incidente stradale. F. Scott Feinstadt è il nome sulla scheda di ammissione alla facoltà, lo stesso dello scomparso ex e (auto-suggestione?) anche la voce che sente per fissare il colloquio sembra la sua. Se poi l'aspetto fisico praticamente conferma il tutto la controllata, spenta vita di questa donna colta e divorziata dal professore-mentore (il come sempre ottimo Gabriel Byrne) si può infiammare improvvisamente e travolgere il dolce e sarcastico studente in oggetto (Topher Grace, Mona Lisa smile), spingendola anche a reinterrogare duramente l'alveo più intimo del proprio essere. Se due anni fa c'era il misoginissimo, genialmente sproloquiante Campbell Scott (assolutamente da gustare non doppiato!) di Roger Dodger (premio Fipresci e Leone d'oro del futuro come miglior opera prima a Venezia 59) il testimone a Venezia 61 è raccolto in modo esemplare da una strepitosa Linney, capace di dare fondo a tutte le sue doti attoriali con un'ampiezza espressiva (compresa una mimica facciale che in un'istante riesce a trasudare imbarazzo, carica erotica, indecisione e giocosa curiosità) degna di uno studio di donna come quello donato da Gena Rowlands nel capolavoro alleniano Un'altra donna (con le debite distanza di globalità del risultato). Kidd, dal canto suo, si riconferma finissimo cine-pittore figurativo del genere umano. L'astrattismo, come al giovane artista che conquista una Laura Linney che incanta, non gl'interessa. Dialoghi assai acuti, una direzione degli attori perfetta, uno stile impalpabile come zucchero a velo e una colonna sonora di gioiosa melanconicità sono i suoi marchi di fabbrica. Ma anche se notevole, il cinema di Kidd con questa opera seconda sembra aver le carte in regola per poter e dover maturare verso esiti più alti di quelli di un' "aurea medietas" nella quale, a lungo andare, rischia d'impantanare le sue doti di director.

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