VENEZIA 62 – "Elizabethtown", di Cameron Crowe (Fuori concorso)

Road-movie iniziatico fluviale, eccessivo, irregolare, ma anche febbrile, epidermico, pieno di calore e di una magia autentica, a metà tra la vita e la morte in cui Crowe mette in gioco tutto se stesso senza vergognarsi di cadere nel ridicolo e dove i bravissimi Orlando Bloom e Kirsten Dunst recitano come sospesi per aria.

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C'è un punto invisibile tra la vita e la morte, tra la gioia e il dolore, la tristezza e la felicità. Elizabethtown, titolo che prende il nome da una cittadina del Kentucky, ruota tutto attorno a questo punto, a questa labile linea di demarcazione. Come nel caso di Quasi famosi c'è qualcosa di privato nell'animo di Cameron Crowe che viene gettato con irruenza sullo schermo. Se in quel film c'è tutta la sua passione musicale e rimandi alla sua attività di corrispondente per la rivista Rolling Stones, qui invece emerge l'ombra del padre scomparso. L'esordio di Crowe dietro la macchina da presa, Non per soldi…ma per amore (1989) non ha avuto un immediato successo ma le sue sorti sono improvvisamente cambiate dopo alcune recensioni entusiastiche. Il padre del regista si era allora recato nel Kentucky dalla famiglia e si apprestava a condividere con la sua famiglia il successo del figlio quando è stato colpito da un attacco cardiaco che gli è stato fatale. Anche il protagonista di Elizabethdown, Drew (Orlando Bloom), dopo essere stato considerato come il responsabile del fallimento di un'industria di scarpe in quanto il modello che ha creato è stato un fiasco, riceve dalla sorella la notizia della morte del padre. La madre (Susan Sarandon) lo incarica di recarsi nel Kentucky per far cremare la salma e riportarla a Portland, nell'Oregon. Durante il viaggio in aereo conosce Claire (Kirsten Dunst) un'assistente di volo con la quale entra subito in intimità. Giunto sul posto poi viene a contatto con un mondo talmente diverse che gli consentono però di conoscere più profondamente la figura del padre.

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Come Quasi famosi, anche Elizabethtown è una specie di road-movie iniziatico dove la colonna sonora ha anche qui un ruolo importantissimo evidente nella coinvolgente sequenza finale quando Drew segue la mappa che gli ha creato Claire e ascolta in macchina una serie di brani che materializzano le emozioni e i sentimenti della ragazza o nella scena in cui Drew vede la salma del padre per la prima volta sottolineata dalle note di My Father's Gun di Elton John. L'opera di Crowe è anche fluviale, eccessiva, irregolare, ma anche febbrile, epidermica, piena di calore, una pellicola in cui tutta l'esistenza individuale (famiglia, sentimenti, lavoro) si condensa nei 133 minuti del film. Come Jerry Maguire inoltre, l'opera di Crowe entra anche nelle dinamiche del successo e dell'insuccesso professionale; non a caso, Drew appare quasi la reincarnazione del manager sportivo interpretato da Tom Cruise in Jerry Maguire. Ma l'elemento fulminante di Elizabethtown è proprio in quell'impeto con il quale da forma all'elaborazione del lutto e alla felicità, alla vita che riesplode dopo che il protagonista è avvolto dai fantasmi deella morte. Claire è per Drew una specie di angelo, proprio simile a quelle commedie fantastiche statunitensi degli anni Quaranta. La scena lunghissima della telefonata tra Drew e Claire prima che questi si decidano a incontrarsi a metà strada per vedere l'alba, il loro primo incontro sull'aereo notturno dove il protagonista è l'unico passeggero, il ballo sul palco di Susan Sarandon con il marito defunto, o il momento in cui Drew si perde la scarpetta proprio come Audrey Hepburn in Cenerentola a Parigi sono i segni prorompenti di un cinema autenticamente magico, un cinema di progressivi risvegli, dove la vita riprende forma proprio dalla morte (Drew e Claire che si rincorrono e ballano del cimitero dove deve essere seppellito il padre) e che si amplia in quel fantastico viaggio finale dove tutta la vita, passata, presente e futura, ripassa davanti ai propri occhi proprio alla stessa maniera di come passava a Monty Brogan (Edward Norton) in La 25° ora di Spike Lee. Crowe mette in gioco tutto se stesso senza vergognarsi di cadere nel ridicolo. E' così che i bravissimi Orlando Bloom e Kirsten Dunst recitano come sospesi per aria, come se Elizabethtown fosse all'improvviso un luogo ultraterreno in cui i morti riprendono improvvisamente vita dentro di noi.

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