VENEZIA 62 – "Kuihua duoduo (I girasoli)", di Wang Baomin (Settimana della critica)

Opera dallo stile originale, "Kuihua duoduo" è un film dal ritmo lento e assorto, caratterizzato da silenzi, ricordi, sentimenti inespressi. Ma alla suggestiva bellezza delle immagini non sempre si accompagna la partecipazione emotiva, quasi ci trovassimo di fronte ad un film sospeso

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Partiamo con un atto di fede: Kuihua duoduo è un film cinese! Potrebbe sembrare banale dirlo, ma si tratta di una premessa importante: tutto sembra fuorché un film cinese. Siamo lontani dallo stile ipercinetico o fiammeggiante dei film di Hong Kong, mancano riferimenti alla cultura e alla tradizione, non ci sono situazioni abituali, per tutto il tempo siamo accompagnati dalla chitarra di un folk singer a metà tra Bob Dylan e El Mariachi (Yang Yi è un famoso cantautore girovago). Persino l'ambientazione rurale contraddice i luoghi tipici del cinema cinese contemporaneo (le grandi metropoli urbane) e si ricollega per lo più ai film della tradizione. Potremmo essere ovunque: certo che quei paesaggi assolati, quelle strade deserte e polverose, quelle città vuote e sonnolente fanno pensare piuttosto al Messico. Persino il ritmo, assorto e silenzioso, sembra più da film iraniano…Si può ben intuire l'originalità di questo Kuihua duoduo, primo lungometraggio di un giovane docente di Regia cinematografica dell'università di Pechino, Wang Baomin. La storia si gioca tutta tra passato e presente. Un giovane, Ma Xiaogang (Wang Mingjie), torna al suo paese dopo aver scontato sei anni di carcere per aver violentato un ragazza, A Mei (Sun Qian), riprende il suo vecchio lavoro, tostatore di semi di girasole, e comincia a inviare alla ragazza delle lettere con un petalo di girasole. I due si incontrano di nuovo, sembra poter nascere qualcosa tra di loro, ma ormai tutto è immancabilmente cambiato. Silenzi, sospensioni, ricordi e sentimenti inespressi…Baomin dimostra di aver appreso numerose lezioni e dà sfoggio di uno stile originale, suddivide il racconto in capitoli, affida alle canzoni di Yang Yi il compito di illustrare la storia, alterna un presente dai lunghi piani fissi, con una fotografia livida, dai toni freddi a vere e proprie esplosioni di luce e immagini suggestive e sognanti (i flashback del passato). Molte cose belle: le musiche, l'atmosfera di desolazione della città, quei campi di girasole a perdita d'occhio e soprattutto il personaggio di A Mei, che irrompe nella storia in modo misterioso, quasi circondato da un'aura angelica, ma che non può far a meno di mostrare la perdita dell'innocenza, vero e proprio controcanto della ragazza ingenua e bruttina innamorata di Ma Xiaogang. Convince meno il protagonista, che nel suo ostinato silenzio e nella sua apatia non suscita alcuna simpatia e non suggerisce la complessità delle emozioni che dovrebbero turbarlo. E poi, si ha a volte l'impressione che il film, col suo stile lento e assorto, non del tutto funzionale ad una trama già di per sé esile, giri intorno senza penetrare nel profondo nucleo emotivo della storia. Quasi fosse sospeso anch'esso, come i suoi personaggi.

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