VENEZIA 62 – "Preservare nella ricerca della felicità. Non è questo in fondo il senso della vita?". Incontro con Stanley Kwan.

Terzo film del cineasta cinese, autore nel 1987 di "Rouge", considerato da molti uno dei più bei film cantonesi di sempre. Prodotto da Jackie Chan, "Everlasting Regret", mèlo post-moderno al femminile, porta in Concorso le avventure tragico-amorose di una donna, sullo sfondo di una spietata Shanghai.

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Terzo film del cineasta cinese, autore nel 1987 di Rouge, considerato da molti uno dei più bei film cantonesi di sempre. Prodotto da Jackie Chan, Everlasting Regret, melò post-moderno al femminile, porta in Concorso le avventure tragico-amorose di una donna, sullo sfondo di una spietata Shanghai. La donna di leggendaria bellezza, amata e tradita da molti uomini, cerca di affrontare i cambiamenti subiti dalla sua città, dalla nascita della Repubblica Popolare alla rivoluzione culturale, fino ai primi anni '80. Il film è tratto dal celebre romanzo pluri-premiato di Wang Anyi "Changhen ge", che letteralmente significa "la canzone del rimpianto senza fine". Forti i richiami al cinema di Wong Kar Wai, anche perché la scenografia e il montaggio sono di William Chang Suk Ping, collaboratore stretto del regista di 2046, In the Mood for Love, Happy Together.

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Perché ha scelto il libro di Wang Anyi per il suo film?


Il romanzo ha vinto in Asia numerosi premi letterari riservati alla letteratura cinese ed è stata definita la più importante opera letteraria cinese degli anni '90 da una giuria di cento ricercatori e critici provenienti da tutte le regioni del Paese. Sono davvero onorato che mi sia stata concessa la possibilità di adattare per lo schermo questo prestigioso romanzo, in modo da diffondere il suo valore universale presso un pubblico più vasto.


 


Cosa le interessava trattare particolarmente?


Il film ripercorre l'esistenza di una leggendaria bellezza di Shanghai, dai suoi giorni di gloria, al suo cadere in disgrazia, costretta ad un'umile esistenza; il tutto mentre la protagonista si sforza di conservare la propria dignità, nonostante i continui tradimenti dei propri partener. Preservare nella ricerca della felicità. Non è questo, in fondo, il senso della vita? Lei va avanti a testa alta mentre rappresenta la testimonianza vivente dei mutamenti che avvengono alla sua città.


 


Qual è stato il passato di Shanghai?


V'è stata un'epoca nella storia ed è evidente che stia accadendo ancora negli ultimi anni, in cui Shanghai ed Hong Kong venivano chiamate le "città gemelle". Essendo entrambe porti di intenso traffico esse sono state costrette a subire una perenne, rapida, mutazione. La sfarzosa storia del cinema di Shanghai nella prima metà del ventesimo secolo si riflette, infatti, pienamente nell'esplosione creativa che avrebbe caratterizzato la cinematografia di Hong Kong pochi decenni dopo. In definitiva il film è un racconto sulla città dei tempi che furono, un'allegoria della moderna Hong Kong, uno sguardo sull'universale condizione delle città moderne e di coloro che le abitano. Lo stile della vecchia Shanghai non è soltanto un'estetica da utilizzare per i film, l'arte e la letteratura. È anche un modo di vivere. Coloro che abitavano la città in quell'epoca, avevano uno specifico atteggiamento nei confronti della vita. ogni cosa doveva rispettare un certo standard e per poterlo raggiungere, si era disposti a fare enormi sacrifici.

E la "moderna Shanghai"?


Oggi, la città è veramente moderna, ma ci sono momenti in cui passare in mezzo alla gente ed agli edifici divenuti sempre più rozzi di anno in anno, mi deprime. La città è riuscita ad influenzarmi in molti modi diversi ma oggi, ciò che mi trasmette è un senso di vuoto, di falsità. Ho sentito la gente parlare di come riconnettersi alla tradizione, ritrovare l'antico tracciato, legando il presente agli anni '50 o addirittura ai '30, cancellando il vuoto culturale dell'epoca di mezzo. Ciò nonostante, io sono incline a credere che un vuoto nella storia sia irreparabile e i valori persi siano persi per sempre.


 


Dove è cambiato il modo di raccontare la sua città dai primi film ad oggi?


Quando diressi Centre Stage ero giovane e volevo mettermi alla prova. Alcuni critici affermarono che fui troppo freddo e diretto ed oggi concordo con loro. Con la maturità, ci si addolcisce. Se girassi di nuovo quel film oggi, non userei più quella struttura auto-riflessiva.


 


In quale genere cinematografico potremmo collocare Everlasting Regret?


Il mio approccio è stato quello del melodramma, che può essere diretto con uno stile aggressivo. Basti pensare a Fassbinder o ad Ozu. La sua forma mi permette di esprimere quella passione per la vita che costituisce il mio tema principale degli ultimi anni. "Vivere" significa affrontare i cambiamenti senza arretrare e portarne il fardello senza lamentarsi. Ciò che mi interessa di più sono sempre i personaggi ed i loro drammi. Sono affascinato dalla condizione umana. Per concentrarmi su questo aspetto, tendo a limitare l'area d'azione dei personaggi. Non mi interessano le scene barocche. Preferisco l'intensa sobrietà di un ristretto spazio drammatico.


 


Cosa ha chiesto nello specifico allo scenografo e montatore William Chang?


L'enfasi maggiore risiede nel porre a contrasto l'eleganza del passato e la crudezza del presente. William Chang non si è mai impegnato tanto come nel creare lo stile della "Vecchia Shanghai". Lo "Shanghai look" che aveva creato nelle precedenti pellicole era focalizzato su personaggi che rappresentano semplici impiegati d'ufficio. Doveva essere pacchiano. Questa volta, ha dovuto studiare uno stile adatto all'alta borghesia, ai ricchi, e la differenza è evidente.


 

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