VENEZIA 62 – "Yolda" di Erden Kiral (Orizzonti)

Una riflessione attuale e personale sulla libertà. Un viaggio on the road ai limiti del biografico, seguendo le tracce del grande regista turco Yilmaz Guney nel suo ultimo viaggio verso l'esilio.

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Quale prezzo siamo disposti a pagare per non rinunciare alla nostra libertà? Il film di George Clooney in concorso Good night, and good luck è una possibile risposta a questa domanda. Lì siamo nel mondo dell'informazione e in pieno maccartismo anticomunista. In Yolda siamo nella burrascosa Turchia sottomessa al colpo di stato militare. Il battagliero regista curdo-turco, Palma d'oro nel 1982 per Yol, Yilmaz Guney (magistralmente interpretato dal suo attore feticcio Halil Ergun), perseguitato e incarcerato ormai da diversi anni per i suoi film,  viene trasferito in macchina in un luogo segreto. Al seguito della sua auto viaggiano la moglie, un amico conosciuto in carcere e un giovane regista. Il lungo tragitto diventerà per Guney, e non solo, una dolorosa ricerca interiore e un controverso faccia a faccia con le proprie prigioni interiori. Nel film di Kiral non ci sono i segni mistificatori dell'agiografia cinematografica, benché la figura del giovane regista sia ritagliata sulla lunga esperienza al fianco del maestro, ma la testimonianza di un doloroso travaglio esistenziale e artistico. Schiacciato sotto il peso di una continua e martellante oppressione censoria il regista Guney soffre la distanza fisica e creativa dalle sue opere, da un mondo che ormai non riesce più a inquadrare, dalle persone che lo amano e lo stimano ma che non possono condividere la sua scelta di abbandonare il  paese. Come un padre stanco e malinconico il Guney raccontato da Kiral appare sconfitto dal tempo, dagli anni di duro carcere, dall'impossibilità di essere libero di guardare il mondo e gli uomini. Sempre attento a non appesantire una regia asciutta e fin troppo concreta, Kiral lascia da parte la sua storia personale e da vita ad una figura controversa e nel finale inesorabilmente perdente. La fuga dalla Turchia segnerà dolorosamente gli ultimi anni di Guney, ma rappresenterà per il giovane assistente la possibilità di liberarsi dal peso del "padre", e camminare finalmente con le proprie gambe. Una storia on the road dal respiro assolutamente attuale, un monito potente a lottare per la libertà.

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