VENEZIA 63 – "Bobby (work in progress)" di Emilio Estevez (Concorso)

Emilio Estevez convince. Il suo "Bobby" è un solido film politico, premiato dalla scelta di guardare alla Storia da una prospettiva tangenziale. Il privato viene invaso dalla sfera del politico. E attraverso vite, speranze, frustrazioni quotidiane si legge il clima di un'epoca e problemi di una società

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Bobby Kennedy è la nostra unica speranza. E' quello che pensano più o meno tutti i protagonisti di Bobby (work in progress), il film di Emilio Estevez in concorso qui a Venezia. Un'idea diffusa in una Nazione che in quegli anni '60, forse per la prima volta nella sua storia, si vede costretta a fare i conti con il mito di libertà e tolleranza su cui si è illusoriamente fondata. 1968, per la precisione. Un anno terribile. Mentre in Europa dilaga la contestazione studentesca e, ad Est, la protesta contro il regime sovietico (non a caso, una dei protagonisti di Bobby è una repoter cecoslovacca), negli USA esplode la questione razziale e il dramma del Vietnam sta per raggiungere l'apice. Dopo l'uccisione di Martin Luther King le tensioni sociali sono prossime il punto di rottura. Il democratico Bob Kennedy, probabile reincarnazione dello sfortunato fratello John, diviene il paladino delle classi più deboli, delle minoranze di colore, per molti è l'unica possibile ancora di salvezza. Di tutto questo ci parla Estevez in Bobby (lavoro che ancora attende una versione definitiva, da cui il sottotitolo "work in progress"). E ci sorprende. Ambienta il suo film all'Ambassador Hotel di Los Angeles, nelle ore immediatamente precedenti all'assassinio di Bobby, durante le primarie per la scelta delle candidature alla Presidenza. Ma piuttosto che seguire la strada del reportage, del film indagine, sul modello del JFK di Stone, sceglie una prospettiva laterale, raccontando la storia di ventidue persone "normali", i cui destini s'intrecciano per un giorno: lo staff elettorale di Kennedy, il personale dell'albergo, gli ospiti. Vite, speranze, frustrazioni, paure quotidiane stanno per toccare la tangente della Storia. Ma in realtà si tratta di vite che sono già vittime della Storia. Se è vero che i personaggi soffrono d'amore, di solitudine, depressione, vecchiaia, è anche vero che il loro privato viene invaso dalla sfera del politico, dai problemi generali della società. Emerge in filigrana il clima di un'epoca, dalla lisergica contestazione beat alla guerra fredda, dalla difficile convivenza multirazziale ai timori dei giovani per una campagna del Vietnam sempre più fallimentare. Non si può dire che, alle prese con un film corale, Estevez mostri la consumata abilità di Altman o il talento di Paul Anderson. Ma non è questo che importa. Bobby piace comunque, perché riesce, a suo modo, a cogliere le sottili vibrazioni dei personaggi, grazie a un cast stellare ed ispirato. E soprattutto perché è un film sincero, onesto, politico. Le immagini di repertorio e i discorsi di Bob Kennedy, che accompagnano la fiction, parlano di speranze, di giustizia, solidarietà. La politica si nutre non solo di strategie e compromessi, ma anche di sogni collettivi. E quando nel finale tutto sembra svanire, si soffre. Anche perché gli Stati Uniti e il mondo di oggi hanno più che mai bisogno di nuovi sogni…

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