VENEZIA 63 – "Ho avuto paura durante le riprese. Ma è un sentimento che aiuta a trovare cose nuove". Incontro con Emanuele Crialese

Il regista di "Respiro" presenta in Concorso a Venezia "Nuovomondo (The golden door)". Accompagnato da tutti i suoi attori, Crialese racconta le suggestioni che hanno ispirato la pellicola, le motivazioni per una nuova visione sulla storia, le intenzioni che hanno guidato le sue scelte

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Il regista di Respiro presenta in Concorso a Venezia il suo nuovo film, Nuovomondo (The golden door). Accompagnato da tutti i suoi attori, Crialese racconta le suggestioni che hanno ispirato la pellicola, le motivazioni per una nuova visione su un pezzo della storia del nostro Paese, le intenzioni che hanno guidato le sue scelte tra fedeltà allo spirito del tempo e dimensione onirica.

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Perché ha scelto di tornare indietro a questo momento della storia italiana?


Non c'è un ragionamento dietro questa scelta. Tutto è nato dalla mia visita al Museo dell'immigrazione, davanti a New York. Gli sguardi dei migranti catturati in centinaia di foto…guardano l'obiettivo confusi, storditi, come atterrati sulla luna. I loro sguardi hanno ispirato il film. Si tratta di persone coraggiose. Non è stata quindi né una scelta politica, né una descrizione sociologica dell'immigrazione in quel periodo storico.


 


Qual è il messaggio del film?


Ho sempre seri problemi rispetto al lancio di messaggi…più che altro vorrei lanciare domande, o magari un messaggio 'autoriflessivo': gli italiani sono un esempio in tutto il mondo, siamo la popolazione che è emigrata di più…l'abbiamo fatto in venti milioni, ci siamo integrati e abbiamo mantenuto la nostra identità. Siamo riconosciuti come gente che lavora. Abbiamo lasciato tutto per trovare una vita migliore. Potremmo allora farci promotori di un messaggio di attenzione. I migranti non sono criminali, è gente disperata che vuole lavorare.


 


Quali ricerche ha fatto, che testi e testimonianze ha usato?


Prima di tutto devo dire che ho lavorato con un grande costumista, Tufano. All'inizio abbiamo discusso molto, io volevo vedere toppe, rammendi e ricami…ha fatto un grande lavoro. Per la documentazione ho seguito inizialmente la strada storica; poi l'ho abbandonata e ho letto 'Le parole di carta', centinaia di lettere dettate dai migranti…è stato lì che ho trovato l'espressione diretta dei sentimenti, quella che mi ha consentito l'immedesimazione necessaria a trovare lo spirito di quel tempo. Erano uomini positivi, che sorridevano anche davanti alle peggiori tragedie e alla miseria più nera. Questi uomini mi hanno fatto sognare e mi hanno accompagnato nel mio lavoro. Poi, ad esempio, la scena del distacco, la prima che ho disegnato, è stata girata nel porto di Buenos Aires. Ogni singola comparsa – le ho scelte su un campione di 700 persone – ha vissuto quella storia, c'era quindi una forte partecipazione, una commozione che mi ha ipnotizzato…perché io cerco sempre qualcosa di vero. Erano tutti figli di immigrati. Ho avuto anche paura durante le riprese. Ma credo che sia un sentimento che aiuta a trovare cose nuove, e belle.


 


Perché questo personaggio della donna inglese?


Lucy rappresenta l'idea della donna dell'altro mondo. E' moderna, è l'unica in tutta la nave a viaggiare da sola. Rispetto a lei non ho dato spiegazioni, né background: la volevo fantasma, sogno, idea – visivamente è un sogno di Vincenzo. Il personaggio interpretato da Vincenzo Amato è il vecchio mondo, lei è il nuovo. Poi è importante perché, come figura straniera, rappresenta un'altra cultura: quindi mi forza a cercare un linguaggio universale, diverso dai luoghi comuni che caratterizzano ad esempio il rapporto tra gli altri personaggi.


 

Sembrava impossibile raccontare ancora questa storia. Il suo film sembra invece aggiungere un tassello fondamentale alla rappresentazione…


Posso dire che il mio riferimento è America, America di Kazan, ma volevo qualcosa di diverso. Kazan racconta in maniera magistrale, ma secondo me ha una visione troppo trionfalistica dell'America; io sono stato più distante, non ho dato giudizi. Il mio film vuole essere il frutto di un immaginario collettivo, e vuole fotografare una situazione.


 


Come ha gestito l'aspettativa relativa al film?


Se il successo di Respiro è stato una carezza, l'aspettativa per Nuovomondo è stata come un bacio. Un incoraggiamento a fare qualcosa di diverso, invece di riproporre ciò che aveva già funzionato e poteva funzionare ancora – strategia che non ritengo onorevole nei confronti del pubblico. Allora mi sono avventurato in nuovi linguaggi, nella dimensione onirica, osando qualcosa di più coraggioso.


 


Come ha calibrato gli spazi di sogno presenti nel film?
Quando si manipola la realtà fino a quel punto, la più grande paura è quella di apparire presuntuosi. Allora mi sono lasciato andare e sono stato aiutato e incoraggiato dal confronto con gli attori. Attraverso il loro sguardo capisco fin dove posso spingermi, se posso fare una cosa oppure no.


 


Quali sono i suoi riferimenti, sia per il cinema che per le arti figurative?


Io non mi ritengo una persona colta, anzi mi sento inadeguato…pochissima TV, quasi niente musei e teatro…non è snobismo, si tratta di una mia incapacità organizzativa. Sono un disadattato! (risate) Per questo mi sarebbe difficile indicare dei riferimenti, rischio di sbagliare i nomi e le date…sul cinema invece il mio maestro, quello che ho nel sangue, è Fellini.


 


Perché la scelta di un dialetto così stretto?


Premetto che il suono, insieme ovviamente all'immagine, per me è la cosa più importante. I nostri dialetti hanno una carica emotiva e sonora che l'italiano non ha – il dialetto è sanguigno, incarnato, è suono. Non potevo non riproporlo. Da qui anche la scelta, coraggiosa secondo me, dei sottotitoli per le parti meno comprensibili.


 


Non ha infierito sul tema dell'accoglienza riservata agli italiani in America. Perché?


Semplicemente non potevo fare diversamente, ma non ho ragionato sul non voler essere polemico. Ad esempio, il fatto che i migranti venissero sottoposti a test psicologici e attitudinali per me è stato un colpo, avrei voluto girare più scene su questo, ma poi mi sono reso conto che sì, avevo bisogno di raccontarlo, ma con grazia. Senza insistere e battere sulla testa della gente dicendo: 'Guardate, è questo che succedeva!' In fondo, io sono un sognatore…

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