VENEZIA 63 – "INLAND EMPIRE", di David Lynch (Fuori Concorso)

Forse il film più coercitivo di Lynch, un'opera che esercita davvero il potere interno della visione, la sfida della percezione interiore, il ricatto dell'ombra che pulsa nelle vene e nella testa. Un atto d'amoroso imperio su Laura Dern

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Un impero è qualcosa che ha a che fare con il potere e con lo spazio. Un potere esercitato nei confini di uno spazio definito, che in questo caso è, per l'appunto, uno spazio interiore: siamo infatti in un INLAND EMPIRE, un impero interno, chiusi in un bozzolo che non lascia passare la luce e non ammette libertà. Il che non rappresenta certo una novità per David Lynch, regista affine a mondi coercitivi, creatore di luoghi e personaggi che liberano le pulsioni nella prigionia di universi paralleli. Questo suo nuovo film, però, appare più disperato del solito, sprofondato in una oscurità che trova nella formidabile sequenza/musical sui titoli di coda un falso atto di liberazione, in realtà la coreografia di un rito che, nell'inno al Signore innalzato da Nina Simone nel nome della sofferenza e del bisogno, trova Laura Dern bloccata sulla sua poltrona, costretta al centro di una danza che non le permette movimento… Situazione emblematica per i personaggi lynchani, che hanno scritto nel loro destino il potere e l'impotenza: il potere di agire nell'ombra della loro volontà, ovvero l'impotenza d'essere agiti in ragione del doppiofondo del loro istinto…

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Ad ogni modo, INLAND EMPIRE è forse il film più coercitivo di Lynch, quello che involve la materia e le figure che mette in scena in un sistema di implosione progressivo, ancora e sempre più distante da una traccia di reale che offra un aggancio oggettivo. Siamo dietro la tenda rossa di Twin Peaks, all'ombra dell'albero del sicomoro, questo è un film che esercita davvero il potere interno della visione, la sfida della percezione interiore, il ricatto dell'ombra che pulsa nelle vene e nella testa. Un film concentrico, che confluisce interamente su Laura Dern, eterno emblema lynchano di una femminilità che è purezza contaminata e in pericolo, figura di luce abbracciata dall'ombra…

In INLAND EMPIRE è la funzione proiettiva quella che (nelle scarne note distribuite alla stampa) Lynch descrive come: "La storia di un mistero… Il mistero di un mondo all'interno di altri mondi… che si svela intorno a una donna… una donna innamorata e in pericolo"… Il plot si avvita nel (con)fluire di storie e personaggi, smaterializzando sempre di più l'ipotesi implausibile di realtà che lo spettatore comodo cercherebbe: la star ottiene il ruolo da protagonista in un film, una storia d'amore che la trova accanto a un fascinoso attore (Justin Theroux da Mulholland Drive). C'è un marito potente, pericoloso e geloso che veglia minaccioso, ma non di meno la star s'innamora immancabilmente del suo compagno di set, scivolando fatalmente dal piano del ruolo che interpreta a quello della vita… Poi le cose si complicano, i vasi comunicanti del mondo reale e di quello immaginario tracimano in reciproca sovrimpressione, e per i restanti due terzi del film l'ombra prende il sopravvento sulla luce, le quinte del set aprono le loro porte su un mondo parallelo, che a sua volta conduce ad altri livelli di (ir)realtà: la star si ritrova in pericolo, sposa di un marito caduto in disgrazia, ma anche prostituta su Hollywood Boulevard e potenziale assassina, o forse vittima…


In fin dei conti, INLAND EMPIRE è ancora e sempre una storia di strani mondi in cerca di salvezza e di luce: solo che qui la luce è un elemento di disturbo, scontorna i corpi nello sfarfallio del contrasto mal sopportato dal digitale "basso" scelto da Lynch: che ha girato in DV, mica in HD, e dunque si compiace di una pixellatura sgranata, di un'immagine non definita, lasciandoci nella sensazione che questo straordinario regista abbia ormai superato la fase immediatamente visiva e sia entrato in una dimensione più immaterialmente mentale. Il digitale, del resto, è un'immagine che non sta da nessuna parte, non è visibile ad occhio nudo ma deve essere codificata, e questo Lynch di sicuro lo capisce bene… INLAND EMPIRE potrebbe essere quel che resta del cinema, ovvero il futuro remoto dell'immagine

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