VENEZIA 63 – "L'udienza è aperta", di Vincenzo Marra (Giornata degli Autori)

Marra sembra ancora una volta fermo a metà del guado: si limita a guardare e a non scavare. Gli piace aprire su Napoli e a scandagliare gli angoli di una metropoli senza confini, ma la localizzazione mai sembra elevarsi a pretesto, ad un punto d'appoggio, perché i luoghi comuni si aprono e si confondono.

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Da alcuni anni a Venezia, il napoletano Vincenzo Marra è presente. Il giovane regista alterna lavori documentaristici a quelli di fiction e attraversa sistematicamente le varie sezioni del festival. L'autore di Tornando a casa, Vento di terra, Paesaggio a Sud ma soprattutto del bello e sorprendente Estranei alla massa (documentario sul calcio e i suoi fanatismi), è entrato nei meandri della giustizia italiana, nei suoi palazzi, insinuandosi tra i suoi interpreti e protagonisti di prima linea, imbastendo un'indagine sulla macchina della legge dei nostri tempi, sulle sue istituzioni. Partendo dal Tribunale di Napoli lo spettatore è trasportato dentro queste istituzioni, vede come i protagonisti pensano e come sviluppano il processo nel quale sono coinvolti. Senza provocare e giudicare, il film mostra come la giustizia non sia solo un'esperienza politica, ma anche sociale, culturale, religiosa e personale. I protagonisti sono presi dalla vita reale, come tutti i dialoghi e le scene svoltesi. Si tratta di un Giudice d'Appello settantenne, il suo Giudice a latere, Elena, e uno dei penalisti più importanti della città, Matteucci. Come un autentico viaggio nella vita degli interpreti, Marra prova a delineare il loro stare al mondo, praticamente pedinandoli. Usando lo stesso metodo utilizzato in Estranei alla massa (del 2001), Marra è interessato a vincere le differenze tra i protagonisti e realizzare un vero film senza "barriere". Con la macchina che schiaccia lo spazio e i volti della giustizia, Marra però sembra ancora una volta fermo a metà del guado: si limita a guardare e a non scavare, e questa volta sembra perda anche quella particolare propensione a grattare lasciandosi almeno irretire e compiacere da un acume osservativo che accumula e disperde. Marra perde il controllo sulla realtà, come gli è capitato di perderlo sull'immaginario della fiction, quando prova a diversificare e stratificare lo sguardo. Gli piace aprire su Napoli e a scandagliare gli angoli di una metropoli senza confini, ma la localizzazione mai sembra elevarsi a pretesto, ad un punto d'appoggio, perché i luoghi comuni si aprono e si confondono. Almeno però il Marra documentarista non si lascia andare a quelle eccessive dissolvenze di maniera e sembra venir fuori, nonostante un lavoro di raccordo classico, una certa fluidità di racconto mai totalmente occlusa tra la causa e l'effetto.

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