VENEZIA 63 – "Paprika" di Kon Satoshi (Concorso)

Il film straripa ad ogni istante dalla razionalità e linearità narrativa, per presentarsi come un accumulo di sogni e incubi. Kon ci parla di libertà e dominio, scienza e limiti. Ma soprattutto ci mostra che il sogno, come il cinema, è il campo di battaglia di pulsioni, desideri, sentimenti, passioni

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La vita è sogno…e il sogno è il campo di battaglia privilegiato di pulsioni, desideri, paure, follie, lo scrigno in cui si nascondono sentimenti e passioni. E' strumento ermeneutico, che in quanto rivelatore di profondità interiori, può diventare più vero della realtà o, quanto meno, confondersi con essa. Al punto che sul terreno del sogno può giocarsi la partita tra la vita e la morte, tra la libertà e il potere. E'un film affascinante Paprika, l'ultimo anime del maestro Satoshi Kon (Perfect Blue, Millennium Actress,Tokyo Godfathers), realizzato dallo studio d'animazione Mad House. E' complesso, intricato, oscuro, misterioso. Bellissimo e terribile. Come solo i sogni possono essere. Tratta da un racconto di Tsutsui Yasutaga, la storia s'incentra sull'invenzione e la sperimentazione del DC – Mini, un congegno che permette l'accesso ai sogni altrui. Uno strumento che viene messo a punto a fini terapeutici, ma che, in mani sbagliate, può rivelarsi una potentissima arma di dominio, capace di condurre all'annullamento e alla follia. Al punto che la dottoressa Atsuki Chiba, tramite il suo alter ego onirico Paprika, è costretta ad entrare in un mostruoso sogno collettivo, dalle devastanti potenzialità distruttive. Detta così sembra semplice. In realtà, Paprika parte da premesse science-fiction, si sviluppa con i ritmi di un thriller, ma straripa ad ogni istante dai confini della razionalità, della linearità narrativa, presentandosi come una successione, giustapposizione, accumulo di sogni e incubi. Ma non in senso semplicemente surrealista. E' una narrazione affetta da ipertrofia, che si espande con la stessa velocità con cui il sogno di un personaggio invade quello di un altro. Un turbinio di avvenimenti, che si riavvolgono, si ripetono, si modificano. Come se ci trovassimo di fronte ad un work in progress o assistessimo al lavoro di montaggio, dove i fotogrammi possono comporsi e ricomporsi, in uno spettro infinito di possibilità. Cinema e sogno ancora una volta fratelli. Fino al punto che i personaggi assistono alle proiezioni e possono entrare nello schermo, sfondarli, confondersi con quanto vedono, vivere il sogno del cinema o il cinema dei sogni. E noi con loro, siamo immersi sino al midollo in questa visione ininterrotta, tradotta in un'animazione pulita, precisa, ma dai tratti meno morbidi e rassicuranti rispetto a quelli di un Miyazaki. Dapprima ansiosi, tesi, a poco a poco anche noi ci abbandoniamo al flusso. Ne prendiamo parte. Capiamo il valore delle parole di Tokita: sarebbe magnifico poter condividere il sogno di un amico. E' tutto vero. Il cinema di Kon è, forse, il nostro DC – Mini…    

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