VENEZIA 64 – Lust, Caution, di Ang Lee (Concorso)

Tratto dal racconto della scrittrice cinese Eileen Chang, Lust, Caution sa raccontare come pochi quel confine sottilissimo tra il piacere e  il dolore, tra l’amore e l’odio. Film su corpi che bruciano di passioni estreme, quello di Lee è anche una riflessione sul senso del recitare, sulla “recitazione e l’imitazione come qualcosa di brutale in sé”
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Guerra e tempo. Tempo sfalsato, tempo finto “in diretta”, tempo che vive di flashback,di giochi ad incastro di montaggio, come piccole esplosioni visive. Sono i due elementi in gioco in quasi tutti i film finora visti al Lido, dai giochi pirotecnici mediatici (bassamente) teorici di Balaguero, con il suo Rec sempre acceso proprio mentre lo sguardo sembra sempre più spegnersi, allo sguardo “cieco” della bambina di Atonement, con le scene ricostruite in soggettiva e in “oggettiva” (davvero?, anche qui la riflessione teorica sul guardare ci lascia basiti…). Meglio i contorcimenti dell’animo dei punti vista che si intrecciano nel meravigliosamente familiare Sad Vacation di Aoyama, e ancora, quell’esplosione di senso, sguardo, e punti di vista (di fuga?) che è Redacted, forse il momento teoricamente più lucido di questa 64a Mostra del Cinema. Mentre quello esteticamente più seducente, tra il classico e il post-global, è Lust, Caution, di Ang Lee, non nuovo a splendide visioni ma qui forse alla sua opera più compiuta, torbida e sensuale.
Lee trae la storia dal racconto della scrittrice cinese Eileen Chang, anzi, come ha detto, “in realtà non abbiamo “adattato” il libro della Chang, lo abbiamo rimesso in scena – proprio come i suoi personaggi vivono e rimettono in scena la loro parte”;  ecco che traspare questa volontà di giocare con il cinema, i generi, il lavoro dell’attore. I protagonisti sono dei giovani universitari che, nella Cina in Guerra con il Giappone nel 1938, dapprima mettono in scena un dramma patriottico per tenere alto lo spirito contro gli invasori, poi decidono di concretizzare il loro impegno indirizzando la loro rabbia verso un grosso collaborazionista dei giapponesi, il signor Yee (Tony Leung). Kuang Yu Min (la rock star Wang Leehom) è la mente esaltata di questo piano ingenuo e folle, mentre la giovane e timida Wong Chia Chi (l’esordiente Tang Wie) si ritrova a dover interpretare un ruolo di sofisticata moglie di un uomo d’affari per cercare di conquistare la fiducia di Yee e incastrarlo in una trappola. La storia divampa in due lunghe fasi, la prima, d’entusiasmo giovanile, con i ragazzi felici e danzanti nelle strade di Shanghai, fino al fallimento dell’obiettivo; la seconda, dove l’atto terroristico diventa una vera e propria azione della resistenza ai giapponesi, con Wong che viene ri-reclutata per riprendere e concludere il suo lavoro di seduzione nei confronti di Yee.
E la storia così, letteralmente, esplode. Da emozionante e nostalgico affresco generazionale il film vira in un torbido ed erotico e bollente noir, con Wong e Yee che diventano complici di una relazione estrema, a tratti violenta, dove il sospetto, il dubbio sull’altro (e su se stessi?) è sempre in agguato. E Ang Lee ci regala dei momenti di cinema carnale, passionale e così sottilmente ambiguo da ingannare ogni possibile finale, anche grazie alle luci “perverse” che Rodrigo Prieto mette nella scena. Prieto ha spiegato che “Lee voleva una “luce assassina” da usare su Yee, in particolari momenti. E allora ho pensato a un bagliore ambrato e tremolante nel suo sguardo…abbiamo unito assieme alcune lampadine e riflesso la loro luce su Tony Leung, e questo ha aggiunto un tocco di follia al suo sguardo”.
Carnale, tutto giocato sulla “tortura dei sospetti” come il bellissimo Black Block” di Verhoeven dello scorso anno, Lust, Caution sa raccontare come pochi quel confine sottilissimo tra il piacere e  il dolore, tra l’amore e l’odio (ricordate il rapporto crudele e passionale di Duello al sole di Vidor?), e lascia intravedere negli sguardi dei due protagonisti dei continui sussulti, dove in ogni momento uno dei due può rivelare all’altro la propria falsità o i propri reali sentimenti. Film su corpi che bruciano di passioni estreme, quello di Lee è anche una riflessione sul senso del recitare, sulla “recitazione e l’imitazione come qualcosa di brutale in sé” – come spiega il regista – “Ma imitazione e recitazione sono un modo per aprirci, come esseri umani, a esperienze più grandi, a rapporti complessi con gli altri, a significati più alti, all’arte, e alla verità”. E al dolore, al tradimento, e alla morte.
 
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