VENEZIA 64 – "Madri", di Barbara Cupisti (Orizzonti)

Presentato alla Mostra il documentario sul conflitto israelo-palestinese, raccontato dal punto di vista delle madri ebree e arabe: testimoni dolorose del destino di morte che ha toccato i loro figli, ma, forse, punto di partenza per una nuova prospettiva di pace

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MadriUn bel personaggio Barbara Cupisti: un passato da ballerina e da protagonista nei primi horror di Michele Soavi (Deliria, La chiesa), la ritroviamo oggi alla regia di un documentario prodotto da RaiCinema e incentrato sul difficile tema della guerra israelo-palestinese, raccontata però dal punto di vista delle madri. Quelle israeliane che hanno visto i loro figli morire nel conflitto, perché vittime degli attentati suicidi; ma anche quelle dei soldati che non hanno sopportato la difficile situazione e sono arrivati al gesto estremo di togliersi la vita; e quelle dei civili palestinesi, vittime innocenti di un conflitto dove separare il giusto dallo sbagliato è ogni giorno più difficile. Proprio questo è in fondo il punto d’arrivo dell’indagine condotta dalla regista: l’unione delle madri che, oltre a fornire un punto di vista intimo e femminile su una vicenda universalmente contrassegnata sempre da nomi tutti al maschile, si sono unite nell’associazione “The Parents Circle”, per raccontare insieme i loro drammi e fornire una testimonianza utile a spezzare il circolo vizioso dell’odio e trasmettere così un messaggio di pace. In questo senso il lavoro condotto dalla Cupisti è onesto poiché non tace delle divergenze di vedute che a volte compaiono in un tessuto sociale devastato, dove si fatica a comprendere le ragioni dell’altra parte, dove ci si sente “differenti” seppure accomunati dal dolore sparso a piene mani dal conflitto. E sono queste differenze a fornire lo scarto di vita che rende il lavoro interessante, poiché diverso è in effetti l’approccio ai temi della vita e della morte che una madre ha in Israele o a Gaza: se le donne israeliane infatti rievocano quasi sempre la vita dei loro figli ormai scomparsi, quasi a volerne reiterare il ricordo gioioso, nei racconti delle madri palestinesi emerge invece soprattutto il momento della perdita, ammantato da una disperazione che è quella di chi ha ormai con la morte un rapporto quotidiano, ma ovviamente non riesce a comprendere il senso della propria condizione. Ed è questa tristezza vissuta come inevitabile a costituire il più forte atto d’accusa che quelle popolazioni possono lanciare al mondo, reiterando il loro desiderio di vita. Tutto questo in 90 minuti di racconto, realizzato con non poche difficoltà (la regista ha dovuto utilizzare due distinte troupe per poter operare a Israele e a Gaza a causa dei rigidi divieti imposti dalla situazione di perenne emergenza), certamente monocorde nella struttura, che procede per racconti delle singole esperienze, ma comunque ben inserito in una Mostra del Cinema che sta dimostrando grande interesse sul tema della guerra, male del mondo di ieri e, purtroppo, anche di oggi.
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