La conferenza stampa di presentazione del 25 Luglio in Casa del Cinema a Roma inizia con un videomessaggio di Quentin Tarantino: “Sono fiero di rappresentare la Retrospettiva Western all’Italiana alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno. Il western all’italiana è un genere fra i più grandi, per quanto ne so, nella storia del cinema mondiale e sicuramente nella storia del cinema italiano. In realtà, gli ‘spaghetti western’ non sono mai stati davvero apprezzati. Molti dei registi di questi film non hanno mai avuto il giusto riconoscimento. In Italia, a settembre, a Venezia, finalmente otterranno la loro meritata rivalutazione.” Il regista di Grindhouse sarà al Lido per patrocinare la rassegna, ideale continuazione di quella Storia Segreta del Cinema Italiano che proprio Tarantino aveva inaugurato nel 2004, a cui sono seguite la Storia Segreta del Cinema Asiatico nel 2005 e la Storia Segreta del Cinema Russo nel 2006. Quentin il Terribile compare anche in un cammeo nell’attesissimo nuovo film del compare Takashi Miike, presente alla Mostra del Cinema: Sukiyaki Western Django, a dimostrazione dell’incredibile e rinnovata vitalità del genere – “E’ proprio partendo dalla riscoperta che ne ha fatto un certo cinema moderno, come quello di Tarantino o di registi come Johnny To o Takashi Miike, che è stata costruita la retrospettiva veneziana”, afferma il curatore della rassegna, Marco Giusti. “Il western italiano, prodotto della seconda metà del ’900, come fabbrica di sogni ancora oggi ben visibile, in cui è possibile mettere in scena, con una totale libertà, i sogni e dei desideri del proprio tempo. E infatti proprio al western toccò di rappresentare l’immaginario di tutta una generazione. Il western italiano rappresenta la risposta immediata del vecchio continente allo strapotere di Hollywood. La dimostrazione che era possibile riscrivere il suo genere più amato, il western, con il linguaggio di un cinema che si muoveva tra Neorealismo e Nouvelle Vague. In un terreno dove era possibile amare, senza conflitti ideologici, John
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Ford e Glauber Rocha. E che era possibile con prodotti poveri e popolari battere il colosso americano anche nella distribuzione capillare in ogni parte del mondo. Che era possibile sostituire John Wayne con Tomas Milian. Riuscendo così a far sognare la rivoluzione dei suoi Cuchillo, Ringo, Gringo e Django agli spettatori di un Terzo Mondo che incominciava a uscire dall’oppressione del capitalismo americano. E, cosa ancor più importante, che offriva la chiave per un cinema riscrivibile e riproducibile ovunque.” Rappresentato a Venezia da ben 32 lungometraggi italiani (più un sorprendente spaghetti western giapponese), film invisibili da almeno due decenni, restaurati e ricostruiti nella loro versione integrale, scelti da Giusti insieme all’altro grande esperto del genere Manlio Gomarasca: “La modernità e l’attualità di certi Spaghetti Western (film come Keoma di Enzo G. Castellari, quasi un opera rock, e Vamos a Matar Compañeros di Sergio Corbucci, prototipo del nuovo film politico in chiave vecchio west) perdura ancora oggi. Dal successo del primo film della ‘trilogia del dollaro’ di Sergio Leone, Per un pugno di dollari (3.182.000.000 miliardi delle vecchie lire nel 1964), sino alla brillante scrittura cinematografica di Sergio Corbucci, al quale la retrospettiva ha dedicato una particolare attenzione nel tentativo di restituirgli il rango di autore che gli spetta di diritto, grazie a pellicole come Django (che un po’ ovunque all’estero è considerato ancora oggi un modello da imitare), Vamos a Matar Compañeros e Navajo Joe con Burt Reynolds. Nella retrospettiva si è tentato di toccare tutti i punti cardini del nuovo genere e di affrontarne tutte le declinazioni e le sfaccettature: dai film sulla rivoluzione messicana (il disperato Tepepa di Petroni), al western-sperimentale (l’allucinato Se se vivo spara di Giulio Questi, assistito da un’insospettabile Gianni Amelio), dal western-crepuscolare (Matalo! di Cesare Canevari, raro esempio di western milanesi), al kung fu-western (Il mio nome è Shangai Joe di Mario Caiano); da quello “gotico” di Mario Bava e Riccardo Freda a quello psichedelico pop di Tinto Brass (Yankee). E ancora: il western degli autori, da Carlo Lizzani (Un fiume di dollari) a Pasquale Squittirei (La vendetta è un piatto che si serve freddo), fino ad arrivare al western-parodia della coppia Bud Spencer e Terence Hills (Lo chiamavano Trinità) che segna il punto di non ritorno. Insomma un programma articolato che mira a omaggiare il genere e i suoi autori (oltre a quelli già citati è doveroso ricordare almeno Tonino Valerii, unico vero discepolo di Sergio Leone), nonché quei personaggi e quei volti che hanno incarnato la mitologia italiana del vecchio west dal Django/Franco Nero al Ringo/Giuliano Gemma, al Sartana/Gianni Garko, senza dimenticare i vari Fabio Testi, Klaus Kinski, Leonard Man, Lee Van Cleef, George Hilton, William Berger, Gordon Mitchel e, naturalmente, Tomas Milian.”
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Western all’Italiana – Storia Segreta del Cinema Italiano 4:
I film (in ordine cronologico)
I sette del Texas (Antes llega la muerte) (1964) di Joaquin Luis Romero Marchent
100.000 dollari per Ringo (1965) di Alberto De Martino
Il ritorno di Ringo (1965) di Duccio Tessari
Ringo del Nebraska (1965) di Mario Bava e Antonio Román
Un dollaro bucato (1965) di Giorgio Ferroni
Django (1965) – Uncut – di Sergio Corbucci
The Bounty Killer (1966) di Eugenio Martin
La resa dei conti (1966) di Sergio Sollima
Navajo Joe (1966) di Sergio Corbucci
Sugar Colt (1966) di Franco Giraldi
Un fiume di dollari (1966) di Carlo Lizzani
Yankee (1966) di Tinto Brass
10 000 dollari per un massacro (1967) di Romolo Guerrieri
El Desperado (1967) di Franco Rossetti
Il tempo degli avvoltoi (1967) di Nando Cicero
La morte non conta i dollari (1967) di Riccardo Freda
Se sei vivo spara (1967) – Uncut – di Giulio Questi
Ognuno per sé (1967) di Giorgio Capitani
Preparati la bara (1967) di Ferdinando Baldi
Tepepa (1968) di Giulio Petroni
Una lunga fila di croci (1968) di Sergio Garrone
E Dio disse a Caino (1969) di Antonio Margheriti
La taglia è tua l’uomo l’ammazzo io (1969) di Edoardo Mulargia
Lo chiamavano Trinità (1970) di Enzo Barboni
Matalo! (1970) di Cesare Canevari
Vamos a matar companeros (1970) di Sergio Corbucci
La vendetta è un piatto che si serve freddo (1971) di Pasquale Squitieri
Il grande duello (1972) di Giancarlo Santi
Il mio nome è Shangai Joe (1973) di Mario Caiano
Una ragione per vivere e una per morire (1973) di Tonino Valerii
I quattro dell’apocalisse (1975) di Lucio Fulci
Keoma (1976) di Enzo G. Castellari
Eventi della Retrospettiva
Una Questione poco privata – Conversazione con Giulio Questi (2007) di Gianfranco Pannone
Gonin no shokin kasegi (The Fort of Death, 1969) – di Kudo Eiichi
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