VENEZIA 65 – "Il primo giorno d'inverno", di Mirko Locatelli (Orizzonti)

Il primo giorno d'inverno – esordio nel lungometraggio di Mirko Locatelli – sembra essere attraversato da due invadenti legami: il primo è quello con il brumoso e grigio paesaggio del cremonese in cui il film è girato; il secondo è un impegnativo confronto con personaggi adolescenti, privi di motivazione apparente, che vorrebbero avvicinare i teen-ager di Van Sant. Tra citazioni scoperte e un'austerità palpabile, Il primo giorno di inverno si ferma proprio nel finale, quando tronca un possibile sviluppo del personaggio, accennato quando ormai non era nemmeno più necessario.

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michela cova e mattia de gasperis ne il primo giorno d'invernoNe Il primo giorno di inverno – esordio nel lungometraggio di Mirko Locatelli, che ha anche scritto la sceneggiatura e curato il montaggio – sembra esserci un diretto legame tra i protagonisti e il brumoso scenario di Moscazzano, cittadina in provincia di Cremona in cui il film è completamente ambientato. Come se qualcosa di quella natura spoglia e fredda si trasferisse negli interni volutamente poveri e poco curati, nell'austerità emotiva dei protagonisti, che raramente si concedono al pubblico nei loro slanci. E' un distacco che si avverte coerentemente anche nello stile delle riprese, spesso fisse ed inesorabili, che prendono in modo fermo la decisione di non giudicare e di non partecipare. In tutto il film c'è un solo ed insistito piano sequenza, ed è quello che fa vedere l'adolescente Valerio camminare per i corridoi di una scuola dall'architettura poco ospitale: è una scoperta citazione di Gus Van Sant, presenza ingombrante  che sembra attraversare tutto il film come fonte di ispirazione e modello: dalla già citata inespressività dei personaggi – mai sorridenti e mai commossi, mai felici e mai tristi – fino all'attenzione rivolta al mondo degli adolescenti, con figure adulte assenti (la madre) quando non direttamente ostili (il maestro di nuoto). Fatte le debite proporzioni, Locatelli cerca ugualmente di dipingere il suo protagonista come un ragazzo se non apatico, almeno privo di motivazioni nelle sue azioni, intrappolato in una gabbia di azioni e gestualità reiterate: le flessioni a casa, le lezioni in piscina, i silenziosi e quasi funerei momenti familiari (la nonna è appena morta, il padre non c'è), le lotte con un motorino/rottame che ha sempre difficoltà nel partire. A volte l'insistenza di Locatelli sui suoi dettagli quotidiani diventa il punto estremo di sequenze che si susseguono uguali a loro stesse, senza che il film o il protagonista subiscano un'evoluzione: Valerio è un pessimo studente, ha un rapporto conflittuale con la sorella piccola (che parla più con il suo coniglio domestico che con gli esseri umani) e vive ai margini dei coetanei, senza una ragione ben precisa. Il primo giorno di inverno pare essere nient'altro che la glaciale cronaca della sua vita piatta e priva di progetti (“Voglio fare l'archeologo… oppure il cuoco…”), di una cattiveria ingiustificata verso l'altro, che lo porterà a ricattare due suoi coetanei solo per attirare la loro attenzione, richiesta da un'omosessualità latente. Locatelli si gioca la carta decisiva in ritardo: quando arriva la svolta – ormai nemmeno più necessaria – del confronto con il senso di colpa (altro tema preso in prestito dal regista di Louisville), il film si ripiega su un duello primitivo e metaforico a colpi di pietra, e finisce senza sviluppo.

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