VENEZIA 65 – "Los Herederos", di Eugenio Polgovsky (Orizzonti)

Il film di Eugenio Polgovsky Los Herederos, nella sezione Orizzonti segue la vita di un gruppo di bambini messicani che per sopravvivere svolgono quotidianamente un duro lavoro.  L’opera di Polgovsky non convince e i bambini restano muti oggetti di un dramma che li riguarda.

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Qualche anno addietro la Mostra del cinema aveva presentato un documentario del regista austriaco Michael Glawogger dal titolo Workingman’s death nel quale l’autore lavorava attorno all’idea di cinque tipi di lavoro tutti distanti da qualsiasi tecnologia avanzata e che si praticano in giro per il mondo. Un film che partiva da un’idea documentaristica e che approdava ad una sincera rappresentazione dell’essenza più profonda del lavoro la cui natura appartiene all’idea di fatica.

A distanza di due anni nella stessa sezione “Orizzonti” il pubblico del festival vede Los herederos di Eugenio Polgovsky trentaquatrenne regista messicano.

L’ambientazione è quella del Messico dove il regista segue la vita di un gruppo di bambini che per sopravvivere, fin dall’età più tenera, svolgono lavori duri che sarebbero adatti solo agli adulti. La raccolta della legna, degli ortaggi nelle sterminate piantagioni e ogni altro tipo di attività che presupponga la fatica non spaventa questi piccoli protagonisti.

Questo il contenuto del film che ha l’unico merito di avere fatto conoscere una situazione come quella che si vede nelle immagini del film. Ma le cose stanno diversamente per quanto riguarda il resto.

L’opera di Polgovsky non convince e si dissente profondamente dalla impostazione strutturale del film e dalle scelte operate durante le riprese. La decisione, infatti, di non fare mai intervenire i suoi giovani protagonisti, muti attori di un dramma che li riguarda, produce l’effetto di creare una incolmabile distanza invece che quello del necessario contatto. Lo spettatore resta a guardare questi giovanissimi protagonisti muto oggetto di indiscreti sguardi sulla loro misera condizione, senza partecipazione, ai limiti di voyeurismo innato e di una insana pacificazione con la propria coscienza. Questa forma espressiva rende i bambini oggetti laddove invece, sicuramente l’intenzione era quella di renderli soggetti della vicenda, ma ciò purtroppo non accade e il cinema di Polgovsky si rivela efficace solo nel compiacimento formale del proprio girato. Sotto l’occhio estetico di Polgovsky i bambini restano solo oggetti di sguardo e soprattutto quando il regista indulge e si compiace della propria capacità visiva e le sue riprese diventano manierate e ad effetto alla ricerca di una verità che il suo sguardo non riesce ma a restituire né ad isolare.

 

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