VENEZIA 65 – "Narrare una storia è un po' come affrontare una guerra contro i profeti del marketing" – incontro con Haile Gerima

Teza - posterA 9 anni dal documentario Adwa, il regista etiope Haile Gerima, accompagnato dagli attori Aron Arefe e Abiye Tedla e dai produttori, presenta il suo Teza, un film nato da un tentativo di sintesi tra la profonda e ricca tradizione orale africana e le chance della tecnologia cinematografica, storia di un popolo che “non può permettersi il lusso della memoria” attraverso il ritorno di Anberber, tra gli studi come medico e la perdita di ogni speranza, dall'Europa al paese della sua infanzia, sconvolto dai conflitti delle fazioni militari e ribelli.

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Gli attori protagonisti di TezaIl regista etiope di Sankofa e Mirt Sost Shi Amit (Il raccolto dei mille anni, presentato a Cannes nel 2006, nella versione restaurata a cura della Cineteca di Bologna) porta in concorso a Venezia il suo Teza (uno dei primi film scelti per questa edizione della Mostra) accompagnato da buona parte del cast (gli attori non professionisti Aron Arefe e Abiye Tedla e le protagoniste femminili, sedute tra la stampa) e racconta la sua esigenza di libertà creativa e quella che avverte come una lotta quotidiana contro i “falsi profeti” del marketing, le imposizioni del mercato, la pressioni dell’industria cinematografica. La presenza dei produttori e dei produttori associati in questo senso è stata particolarmente indicativa per approfondire quali sono state le difficoltà incontrate nel reperimento dei fondi per la lavorazione di questo film: in particolare Karl Baumgartner – produttore attento al cinema indipendente e alla cinematografia coreana, portoghese, bulgara – ha spiegato l’apporto indispensabile dei finanziamenti pubblici francesi, raccontando come tutta la troupe abbia accettato il pagamento posticipato pur di riuscire a realizzare il film.

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Può parlarci della genesi del film?

 

Il film nasce da un sogno: negli incubi del personaggio ci sono tutti i miei timori. La mia famiglia contadina desiderava che io diventassi medico e non regista, ed io non mi sentivo all’altezza delle aspettative dei miei familiari. Teza è nato come la traduzione intellettuale di queste paure.

 

Quanto tempo è stato necessario per le riprese? E per il montaggio?

 

Le riprese in Etiopia sono state completate in 8 settimane, tra Addis Abeba e le montagne circostanti, e in Germania sono state terminate in soli 6 giorni: una lotta contro il tempo come sempre quando si lavora con un budget limitato. Per il montaggio la lotta è ancora più feroce, perché non concepisco il cinema come un fast-food e ritengo che proprio nella fase del montaggio ci si trovi di fronte alla propria “creatura” che nasce, si trasforma in emozione. Preferisco montare con calma, per un anno o due. Per questo film ho impiegato un anno, ma sempre per mancanza di mezzi la parte in Germania è stata realizzata a distanza di quattro anni dal resto.

 

Nel film sembra molto presente il ricordo dell’occupazione italiana, è un tema ancora sentito in Etiopia, specie dalle nuove generazioni ?

 

Dovremmo chiederlo direttamente a loro – gli attori che mi accompagnano, per esempio, rappresentano la nuova generazione. Io provengo da una famiglia che ha sentito fortemente l’esperienza dell’occupazione italiana, con le atrocità del fascismo, vivendola in prima persona: mio padre aveva partecipato alla resistenza; su questo tema ho già realizzato Adwa, presentato proprio qui a Venezia. Anche la “Montagna di Mussolini” che compare nel film appartiene ai miei ricordi d’infanzia: in Etiopia ci sono molti monumenti che ricordano gli italiani, mentre il nostro monumento è la tradizione orale che permane per le strade, nei caffè.Attualmente lavoro anche su un documentario che ripercorre le vicende della seconda occupazione italiana.

 

Qual'è l'attuale situazione politica dell'Etiopia? Lei rientra nel suo paese, e che emozioni prova?

 

L'Etiopia, come tutta l'Africa, subisce una situazione di particolare conflitto: il clima politico non è molto cambiato negli anni. C'è un gruppo elitario, tanti sono morti per un conflitto sulla frontiera. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, io rientro spesso nel mio paese, ma trovo difficile conciliare la mia Etiopia di bambino con quella odierna: tutto è stato spazzato via dalla guerra. Quando torno a casa, il presente è così forte che non riesco a pensare al passato. Non ci permettiamo il lusso di godere delle nostre memorie, per via della violenza attuale, ed è ciò che spero di aver comunicato con il mio film.

 

Riguardo alla trasmissione della memoria: i suoi attori sono più giovani dei personaggi che interpretano, inoltre sono attori esordienti.

 

Aron Arefe: La tradizione orale dell'Africa è la strada migliore per comprendere i tempi del passato. Molti anziani sono quasi cantastorie di professione, che trasmettono la loro conoscenza, gli eventi che fanno ormai parte della loro identità.

 

Abiye Tedla: Ho letto molto, mi sono informato, anche prima della lavorazione del film. Ho tanti cugini che sono stati uccisi, e non di rado da bambino andando a scuola mi imbattevo  in un cadavere con un biglietto: “Viva la rivoluzione”: c'era continuamente la possibilità di essere fucilati senza troppi preamboli. Per questi motivi avevo un'idea molto critica della rivoluzione, il film però non si schiera, mostra solo ciò che avviene quando si pensa in modo distruttivo.

 

Che impatto può avere il cinema sulle nuove generazioni in Etiopia e su un reale cambiamento della società?

 

Sarò onesto. Non posso prevedere quale sarà l'impatto sui giovani; quando scrivo non mi pongo il problema della reazione del pubblico, questo va contro l'idea stessa dell'arte. Sono solo le circostanze storiche a determinare il favore del pubblico verso un movimento artistico piuttosto che un altro; è il capitalismo che cerca di prevedere tutto. Un grande pensatore africano ritiene che ogni generazione abbia una sua precisa responsabilità: prima o poi una generazione crea un cambiamento. Anche in Europa, dopo il '68, nessuno si aspettava che i giovani diventassero così materialisti, vere e proprie pubblicità ambulanti del capitalismo.

 

La forma del film è importante quando i contenuti. Il montaggio ad esempio è anticonvenzionale, Il regista di Teza, Haile Gerimapuò parlarcene?

 

Narrare una storia è un po' come affrontare una guerra. Nel mio cinema io cerco di evitare i falsi profeti del marketing, tutti coloro che non mi lasciano libero nel mio bisogno di narrare. I produttori di questo film, invece, mi ha dato assoluta libertà, cosa che non accade a molti registi africani. Utilizzo la tradizione dei cantastorie e devo conciliarla con le possibilità moderne della tecnologia: non si tratta solo di fare un film, ma di far penetrare la mia identità nella forma cinematografica.

 

Cosa vi ha spinto a realizzare un film con un budget ristretto, e che peso può avere questo sulla distribuzione?

 

(Risponde il produttore Karl Baumgartner) Un'enorme energia autobiografica detta la forma del film: sono stato toccato dalla sua natura di avventura politica, ma soprattutto intima e umana.  Haile Gerima è un regista che comunica con se stesso prima che con gli altri, un aspetto raro: io, che mi trovo nella posizione di lavorare nel mercato della tv, trovo indispensabile dare un supporto a registi talentuosi e lasciare loro la massima libertà di esprimersi. C'è da precisare che in Germania il sistema televisivo dà il suo appoggio a molte produzionin indipendenti, diversamente da ciò che accade in altri paesi.

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