VENEZIA 65 – "Solo l'immaginario dello spettatore resta quando le luci si spengono… Questo è probabilemente il mio film più cinematografico". Incontro con Abbas Kiarostami

kiarostamiTorna al lungometraggio il regista iraniano, raccontando la messa in scena di un poema persiano del dodicesimo secolo, attraverso i volti di 113 attrici. Kiarostami, vincitore nel 1999 a Venezia del Premio della Giuria, con Il vento ci porterà via, vorrebbe farci innamorare di quei volti che “incarnano” il movimento, e lascia fuori campo il superfluo e forse anche, più che il piacere, il bisogno del guardare in un unico punto 

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kiarostamiTorna al lungometraggio il regista iraniano, raccontando la messa in scena di un poema persiano del dodicesimo secolo, attraverso i volti di 113 attrici del suo paese e quello di Juliette Binoche. Primi piani che “riflettono” le luci, la storia e il movimento del grande schermo che noi non vedremo mai. I volti e gli occhi delle attrici sono come una stratificazione spirituale dell’immagine, mai mostrata e soltanto agognata, ispirata. Amore per l’immagine che non afferri, amore per il cinema che non avverti. Kiarostami, vincitore nel 1999 a Venezia del Premio della Giuria, con Il vento ci porterà via, vorrebbe farci innamorare di quei volti che “incarnano” il movimento, e lascia fuori campo il superfluo e forse anche, più che il piacere, il bisogno del guardare in un unico punto.
 
Da che cosa è partito per realizzare questo progetto?
La gente al cinema va in compagnia ma poi intraprende un viaggio solitario a luci spente. Questa è una delle cose che da sempre mi hanno affascinato. Solo l’immaginazione e l’immaginario dello spettatore resta quando un film comincia.
 
Il film è legato al corto presentato a Cannes l’anno scorso?
Non completamente. Piuttosto direi di essermi riavvicinato al mio primo allestimento teatrale, presentato a Roma, “Tà Ziyé”, la forma di teatro iraniano più antica, legata agli eventi tragici della storia dell’Islam e dei suoi martiri. O anche agli spettacoli sportivi in cui spesso sono più interessato a chi assiste.
 
Come ha organizzato il lavoro?
Quando abbiamo cominciato non sapevamo ancora come sviluppare la storia. Avevamo soltanto una sedia, un fondo nero e un cartello bianco con dei puntini, sui quali gli attori dovevano concentrare il proprio sguardo. Ognuno doveva pensare alle proprie cose. Dopo abbiamo scritto la storia, in sei mesi. Non c’è stato vero e proprio lavoro di casting. Avevamo invitato tutte le attrici iraniane a partecipare e ad ognuna sono stati concessi 5 minuti davanti alla telecamera.
 
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shirinCome è andata con Juliette Binoche?
La Binoche era in vacanza in Iran e le ho chiesto di partecipare e lei subito ha accettato. Quando le hanno chiesto in occidente come si è sentita nel farsi riprendere con il velo ha risposto di essere orgogliosa di indossare qualcosa che molte donna indossano per convinzione e di essere invece solidale con quelle donne che sono costrette a portarlo.
 
Perché ha scelto una storia di 800 anni fa?
Le storie che parlano d’amore sono tutte uguali, l’importante era renderla sempre nuova proiettandola sui volti diversi delle attrici alle quali avevo chiesto di non recitare ma provare a rivivere una loro storia personale. Ci sono stati momenti in cui le attrici dimenticano di essere riprese e viaggiano realmente con i loro pensieri. Sembrava di spiare dal buco della serratura. Questa storia potrebbe anche non essere sottotitolata, anzi forse sarebbe meglio per un maggiore coinvolgimento. Credo che questo sia il mio film più cinematografico e chiudendo l’audio probabilmente migliorerebbe.
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