VENEZIA 66 – "Al Mosafer" (The Traveller), di Ahmed Maher (Concorso)
Ricerca e fuga da se stesso, attraverso un cammino spazio-temporale che segna i tre momenti della vita: giovinezza, maturità, vecchiaia. Il regista egiziano insegue il fascino della tradizione meridionale lasciandosi influenzare da un certo cinema italiano e francese del passato. In tre giorni si può travare forse l'essenza della propria vita e partire per quel viaggio definitivo, forgiato dalla fiamma dei rimorsi
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La memoria è labile, arriva un tempo in cui probabilmente scopri di non aver custodito il tuo passato e di aver smarrito uno sguardo d'insieme su ciò che sei stato, ciò che avresti voluto essere. Resta pochi istanti pregni di signifacato a segnare l'esistanza di un uomo. In fondo, solo briciole che miracolosamente si fanno perle e nelle quali è racchiusa la tua anima, il tuo vissuto. Arriva evidentemente un giorno in cui le tiri fuori dallo scrigno della tua anima recondita e cominci a maneggiarle, strofinarle, fino al punto che le immagini si rincorrono tra sfavillanti luci, personaggi inventati, identità sovrapposte, tra recalcitranti passioni e fragorosi fallimenti. L'egiziano Ahmed Maher (vincitore del Gran Prix al Festival di Roma) è ormai italiano di adozione, perchè vive, insegna e produce nel nostro paese. Infatti il suo film riflette il fascino della tradizione meridionale (su tutti si pensi a Chahine) influenzata dal cinema italiano con venature felliniane (evidente soprattutto nella prima parte girata su una nave). Ecco che ricerca e fuga da se stesso, attraverso un cammino spazio-temporale, segna i tre momenti della vita: giovinezza, maturità, vecchiaia. Nel cast, Omar Sharif e la pop-star internazionale, la libanese Cyrine Abdelnour. Ambiziosa e scombussolata opera in cui, nonostante i continui ammiccamenti al cinema di grandi autori, resta evidente una certa carenza di scrittura e soprattutto una pericolosa deriva verso un'impalpabile rappresentazione del persorso esistenziale. Ci sono squarci cromatici che lasciano anche abbagliati, appassionate accelerazioni di ritmo, ironiche e surreali scoperte, che si rivelano però solo innoque turbolenze. Un'epifania quindi ogni trent'anni circa, per catturare gli attimi stringenti, lontani però dal provocare il fatale viaggio destabilizzante e matafisico, prefissato, sempre rimandato e un bel giorno forgiato dalla fiamma dei rimorsi.