VENEZIA 66 – "Apan", di Jesper Ganslandt (Giornate degli Autori)

Apan

La vera potenza di Apan è riposta nell’essere un thriller dell’anima aperto: il film, nonostante la sua complessa (ma non complicata) linearità, rischia, si pone la ricerca del nuovo: Ganslandt volge infatti coraggiosamente lo sguardo dalla parte del carnefice e a quello che succede dopo un evento del genere, umanizzando un personaggio sulla carta estremamente negativo.

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Un uomo si risveglia turbato e ricoperto di sangue rappreso. In che losca vicenda è stato coinvolto? Cosa ha fatto? Ma soprattutto che farà? A soli tre anni dal fulminante esordio con Farval Falkenberg, il trentunenne regista svedese Jesper Ganslandt torna alle Giornate degli Autori con la sua opera seconda, Apan, “La scimmia”. Contrariamente a quanto il titolo farebbe presupporre però, il protagonista non è un animale, bensì Krister, marito, padre ed istruttore di guida, che trascorre gran parte delle proprie giornate al volante della propria auto e a comunicare al telefono cellulare con tanto di auricolare. Krister, però, è geloso della propria routine e della sua stessa persona, e sfugge allo sguardo invadente della macchina da presa che, nonostante ricorra a frequenti ed invasivi primissimi piani, non può che accontentarsi di pseudo-soggettive e profili. Difficile è infatti vedere ed inquadrare Krister nella sua interezza. La macchina da presa, per di più, è costantemente a mano a seguirlo bruscamente mentre guida, corre e cammina, si alza e si abbassa e gira intorno ad un mobile, ma un uso talmente spropositato ed invasivo risulta ridondante, come piuttosto inutile e fastidioso (contrariamente, nel fuori concorso Rec 2 passato alla prima giornata proprio questo era un punto di forza). La vera potenza di Apan è riposta in realtà nell’essere un thriller dell’anima aperto: il film, infatti, nonostante la sua complessa (ma non complicata) linearità, rischia, si pone la ricerca del nuovo. Ganslandt volge coraggiosamente lo sguardo dalla parte del carnefice e a quello che succede dopo un evento del genere, umanizzando un personaggio sulla carta estremamente negativo. Krister è ormai un uomo finito e costretto a fare i conti con le proprie azioni, a sopravvivere e a guardare in faccia il male che lui stesso ha misteriosamente (quanti i punti interrogativi…) generato. E qui la curiosa scimmia è presto svelata: è lo sforzo di aggrapparsi alle cose situate intorno all’individuo, quelle che in realtà ha già perso. Ma anche di realizzare la vita che aveva e che ora non c’è più.

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