VENEZIA 66 – "Il colore delle parole", di Marco Simon Puccioni (Orizzonti)

il colore delle parole
Guidato soprattutto dall’innegabile carisma del personaggio di Teodoro, incarnazione metropolitana del cantastorie orale dei villaggi d’Africa che continua a Roma da 30 anni a trasmettere di generazione in generazione i miti e le conoscenze della sua gente, Simon Puccioni
 
riprende in questo documentario ad approfondire una delle tematiche forti di quel suo Riparo, film potente che ne aveva rivelato lo stile solido ed originale

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il colore delle paroleTornando al documentario – genere che l’aveva già visto protagonista con Partigiani nel 1997 – dopo l’exploit di Riparo – Anis tra di noi, film potente che ne rivelava lo stile già solido ed originale, Marco Simon Puccioni continua comunque ad approfondire una delle tematiche forti di quel suo lungometraggio di fiction, ovvero l’integrazione degli immigrati in terra italica. Fin quando resta focalizzato sul ritratto di Teodoro, operatore culturale africano, poeta e patriarca, a Roma da 30 anni a battersi per i diritti umani, Il colore della parole non si discosta da un lavoro diligente ed accurato sulla “materia documentaristica” senza troppe sorprese (interviste alternate ad amici e colleghi di Teodoro, immagini di repertorio, scorci urbani della Capitale…), nonostante una certa attenzione all’amalgama di formati e grane differenti dell’immagine. Piuttosto, si ritrovano istanti dell’urgenza di sguardo di Simon Puccioni nei frammenti girati al villaggio di provenienza di Teodoro, dove all’esuberanza dei festosi gruppi di bambini africani, e alla arcaica fascinazione dei rituali e delle tradizioni locali, in cui la mdp si perde registrando però i particolari con lucidità (gesti, sguardi, movimenti), si aggiunge quel forte straniamento del protagonista che torna a casa dall’Italia dopo un lungo lasso di tempo, e trova il luogo natio sostanzialmente immutato; sensazione simile e insieme opposta a quella che innervava la sezione meglio riuscita e convincente del progetto vicino di Vittorio Moroni, Le ferie di Licu. Guidato soprattutto dall’innegabile carisma del personaggio di Teodoro, incarnazione metropolitana del cantastorie orale dei villaggi d’Africa che continua a trasmettere di generazione in generazione i miti e le conoscenze della sua gente, Simon Puccioni compie in alcuni momenti la pecca di lasciarsi sfuggire le figure di contorno della storia che racconta (soprattutto la figlia di Teodoro, nata e cresciuta in Italia, avrebbe meritato maggiore spazio), mentre in altre sequenze si conferma autore coraggioso e spesso ad un passo dall’azzardo, come quando monta uno dietro l’altro un gruppo di bambini italiani che cantano stonatissimi l’inno italiano, e poi un simile gruppo di bimbi africani perfettamente a tempo che intonano il loro inno nazionale.

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