VENEZIA 66 – "Kakraki – Comegliscampi", di Ilya Demichev (Settimana della Critica)

kakraki
Ilya Demichev prende come guida Nikolaj Gogol e i suoi caustici e spietati ritratti dove nulla e nessuno viene risparmiato, per raccontare una Russia stanca e obesa, artefice e vittima di un sistema fagocitante, che risucchia l’individuo e lo spoglia del suo futuro, della sua volontà

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kakrakiSono le immagini della salma di Nikolaj Gogol e del suo inaspettato “risveglio” durante il funerale ad aprire la commedia grottesca del russo Ilya Demichev. Questo è il sogno che, come una premonizione, visita il sonno di Mikhail Mikhajlovic (Mikhail Efremov), il funzionario statale di mezza età e annoiato della sua vita che per sopravvivere s'inventa quotidianamente un finto interesse  – il nuoto, il cinese – grazie al quale possa ingannare ancora un giorno, per poi svegliarsi di nuovo, domani, in un mondo che non è mai cambiato: una Mosca popolata di individui ridicoli che vivono imprigionati nella nella loro grassa indolenza, nella loro indecente e misera incapacità di cambiare, troppo abituati all’agiatezza anonima e infelice che protegge le loro inutili vite per dar ascolto ai propri desideri; una città fatta di piccoli affari sporchi, di pranzi e cene interminabili dove, con una comicità a tratti troppo urlata, si corteggia sguaiatamente e senza più vergogna la pochezza del più potente, cercando di placare l’anima con l’abbondanza del cibo e dell’alcool. Fino all’incontro con un evento straordinario. Un volto inaspettato, diverso da tutti gli altri. La bellezza e l’amore. In un istante l’esistenza ormai priva di ogni autenticità di Mikhail Mikhajlovic prende un nuovo colore, si nutre di uno sconosciuto desiderio di vita e il funzionario corrotto dalla pancia sfatta come i cremini che continua ingurgitare senza riuscire a smettere di masticare – è la vuota dipendenza dall’abbondanza il premio ricevuto da un sistema che chiede in pegno l’anima – torna a sognare quel tempo dimenticato e tanto lontano: la giovinezza ancora libera. Mikhail evade dalla prigione sociale, dalla prigione familiare dove è stato per troppo tempo rinchiuso. E si riscopre abitante di una prigione dalle sbarre e dalla pareti ancora più spesse, la prigione dell’amore. Eppure tra le sue nuove inespuganbili mura trova un varco e fugge, infine, insieme al protagonista de Il cappotto. Con un andamento altalenante, che spesso si compiace e troppo indugia sulle proprie trovate, disperdendo in tal modo, nella reitarazione fine a stessa, la carica corrosiva delle immagini, Ilya Demichev prende come guida Gogol e i suoi caustici e spietati ritratti dove nulla e nessuno viene risparmiato, per raccontare una Russia stanca e obesa, artefice e vittima di un sistema fagocitante, che risucchia l’individuo e lo spoglia del suo futuro, della sua volontà.

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