VENEZIA 66 – "Lourdes", di Jessica Hausner (Concorso)

lourdes
E’ nell’altrove in-filmabile – che sia la fede, il miracolo o la felicità cantata dalla Seydoux nel bellissimo e ambiguo finale – che Lourdes formula la sua amara riflessione sul dolore e sulla distanza tra gli esseri umani, in attesa di un segno che di per sé è già negazione
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lourdes di jessica hausnerE’ un film non facile il terzo lungometraggio dell’austriaca Jessica Hausner, già autrice dell’ambizioso e inquietante Hotel, presentato in concorso a Venezia 2009 ed esplicitamente realizzato sotto l’influenza del cinema di Dreyer. L’inferma Christine (S. Testud), affetta da sclerosi multipla e condannata vivere su una sedia a rotelle, è una dei tanti malati che ogni settimana vanno in pellegrinaggio a Lourdes nella speranza di purificare l’anima davanti a Dio, raggiungere un conforto alla propria sofferenza e magari ottenere una guarigione miracolosa. Le sue giornate le trascorre con la compagnia della volontaria Maria (L. Seydoux), la cui innocenza e gioia di vivere sembra essere vista con un certo risentimento dalla donna, all’interno di una comunità austera, incentrata su un rigore e una ricerca della fede, che la stessa Christine sembra non possedere. Quando all’improvviso le sue condizioni di salute migliorano, fedeli e sacerdoti iniziano a gridare al miracolo. Ma si tratta di guarigione baciata dalla Grazia o è solo un miglioramento momentaneo?
Anche stavolta come nel precedente Hotel, nonostante un iniziale sospetto di freddezza, la Hausner riesce ad andare oltre il corretto esercizio di stile, infondendo al proprio film una tessitura emotiva tra i personaggi quasi impalpabile, capace però di disperdere la pericolosa programmaticità potenziale della pellicola in piccole sotto-trame fatte di relazioni abbozzate, desideri e paure esistenziali sostanzialmente esterne a un qualsiasi teorema etico-religioso. Lourdes, a dispetto del tema affrontato, è in realtà un film profondamente laico, attaccato a personaggi legati tra loro in un contesto sociale sotterraneamente violento e alienante, dettato da un uso claustrofobico degli interni ricorrente nella filmografia della regista austriaca. Qui l’attesa del miracolo e la rappresentazione oggettiva del rituale assumono il tratto della testimonianza, della registrazione esterna, per certi versi entomologica, senza però una viscerale ricerca del sacro e della carne. E’ anzi ricca di sospensioni quasi rarefatte l’opera della Hausner, che non lesina lunghi piani sequenza a macchina fissa, né il ritorno a un uso dello zoom spesso lento e insistito che sembra quasi voler immortalare brevi istanti ipnotici in cui i personaggi guardano in fuori campo. E’ infatti tutto in un altrove in-filmabile – che sia la fede, il miracolo o la felicità cantata dalla Seydoux nel bellissimo e ambiguo finale – che Lourdes formula la sua amara riflessione sul dolore e sulla distanza tra gli esseri umani, in attesa di un segno che di per sé è già negazione.
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