VENEZIA 66 – "Mi interessa il confine sfumato tra la follia e la normalità". Incontro con Werner Herzog

Per la seconda volta dall’inizio di questa edizione del Festival di Venezia, Werner Herzog incontra i giornalisti nella sala conferenze del Palazzo Casinò. Presente per l’occasione anche il protagonista del suo secondo film in concorso – My son, my son, what have ye done? – Michael Shannon. Moderatore dell’incontro Alberto Pezzotta

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Werner Herzog, insieme all’attore Michael Shannon, incontra nuovamente la stampa al Festival di Venezia in seguito alla presentazione del suo secondo film in concorso My son, my son, what have ye done?. Tanti sono quelli che hanno rintracciato in quest'opera la volontà da parte di Herzog di riaffacciarsi su tematiche affascinanti legate all’esplorazione dell’animo umano che avevano caratterizzato soprattutto la sua produzione degli anni ’70. La presenza di Michael Shannon in sala conferenze e, soprattutto, le caratteristiche del suo personaggio hanno indirizzato più volte la conversazione verso un confronto col grande “attore feticcio” per eccellenza di Werner Herzog, Klaus Kinski.

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Cosa si prova ad avere due film, peraltro molto diversi tra loro, in concorso al Festival di Venezia?

WERNER HERZOG: Per quarant’anni Venezia non ha mai accettato miei film in concorso e per questo motivo ho sempre preso parte ad eventi laterali senza mai smettere di amare questa manifestazione. Marco Muller era rimasto davvero colpito dopo aver visto Bad Leutenant: Port of Call e poi, quando ha avuto modo di vedere anche My son, my son, what have ye done? è stato tanto entusiasta da propormi di presentarli entrambi, e per me è stata davvero una grande soddisfazione e un enorme gioia. Sono grato per questo a Marco Muller perché ho apprezzato il suo gesto che va contro l’abituale rigidità di queste manifestazioni. Da parte mia gli ho detto: “se sei così entusiasta, io sono a bordo della tua barca”.
 
Signor Shannon, come è stato per lei lavorare con un regista come Werner Herzog e costruire un personaggio così complesso? MICHAEL SHANNON: Non conosco un’altra persona che sappia raccontare storie come Werner. Prendiamo questo film, per esempio: ha adottato una prospettiva molto particolare, si è chiesto in che modo potrebbe nascere in ognuno di noi il desiderio che assale il mio personaggio. In un certo senso ha approfondito il subconscio mettendosi in discussione in prima persona. Io mi considero semplicemente un intermediario tra Werner e il personaggio che interpreto, e mi sono abbandonato completamente alla sua visione del mondo.
 
Questa è la terza volta che lei interpreta un personaggio mentalmente disturbato. Come si prepara per questi ruoli? E non ha paura di finire etichettato come “l’attore dei pazzi”?
MICHAEL SHANNON: Proprio ieri sera a cena affrontavo una discussione sul tema della pazzia. Mi chiedevo: cosa significa essere pazzi? Non è necessariamente qualcosa che si può provare perché non esiste un modo “normale” in cui comportarsi. A me piace esplorare personaggi considerati al di fuori della normalità e, se sono un attore, per forza di cose non posso considerarmi una persona normale. Non amo fare cose normali. Quanto all’etichetta, di solito non mi siedo in poltrona con una pila di sceneggiature di fronte per decidere quale ruolo interpretare. Aspetto che i registi mi contattino basandosi su ciò che mi hanno visto fare in precedenza.
WERNER HERZOG: Vorrei aggiungere che quando ho contattato Michael non avevo visto Revolutionary Road, forse non era neppure uscito. Non avevo un’idea chiara sui suoi trascorsi da pazzo. Anche Kinski, prima di lavorare con me, non aveva interpretato ruoli al di fuori del normale, si era cimentato soprattutto negli “spaghetti western”. C’è qualcosa in Michael che mi ha attratto fortemente e mi ha spinto a contattarlo per questo ruolo, ma nonostante ciò resto fermamente convinto del suo alto grado di versatilità.
 
Signor Herzog, come spiega questa sua attrazione per la follia che ha caratterizzato gran parte dei suoi film e soprattutto quelli con Klaus Kinski?
WERNER HERZOG: Voglio subito precisare che non considero Kinski un pazzo, nonostante sia risaputo che mi ha creato non pochi problemi nel corso delle nostre collaborazioni. La gente pensa spesso che io abbia una qualche affinità con la pazzia, ma voglio cogliere l’occasione per dire a tutti apertamente che sono clinicamente sano, e forse sono addirittura la persona più sana oggi qui a Venezia. A parte gli scherzi, più che la pazzia in sé, mi interessa il confine sfumato tra la follia e la normalità. Ritengo che sfiorare i nostri limiti sia l’unica via possibile per conoscerci meglio, ed è questo ciò che tento di ottenere dai miei attori, cerco di portarli verso i loro limiti. Kinski ha toccato questo punto limite, e lo ha fatto anche Michael.
 
Per concludere, potrebbe parlarci dei suoi progetti futuri?
WERNER HERZOG: Per il momento la cosa che più mi sta a cuore è il progetto per la mia scuola di cinema. In questo periodo sto tenendo molte conferenze negli hotel e diversi seminari. Sono in attesa che il marchio venga brevettato. Quello che mi interessa non è insegnare la tecnica ai giovani – quello possono farlo in qualsiasi altra scuola di cinema – voglio trasmettere loro la determinazione che è necessaria per realizzare un film e stimolare la loro fantasia.
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