VENEZIA 66 – "The Hole 3D", di Joe Dante (Fuori Concorso)
E' nella sua elementarità classica che risiede il fascino contagioso di un regista che non ha paura di amare con umiltà i personaggi e l’oscurità che si portano dentro. The Hole non sarà allora il miglior film di Dante, ma è cinema di resistenza non troppo dissimile da quello di George Romero
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Dante lavora di misura calibrando toni, suggestioni, brevi e improvvise impennate thriller più o meno cariche di suspense (bella la sequenza delle lampadine che esplodono nel rifugio del folle e recuperato dall’oblio artistico Bruce Dern). Più che un esercizio sullo shock visivo, una tenera rivisitazione fantasy-horror – con qualche debito alla letteratura di Stephen King – sulle dinamiche romantiche soggiacenti alla paura e al perturbante. Sebbene solo parzialmente rinnovi la filmografia del grande regista (in tal senso L’ululato, Gremlins, Salto nel buio e La seconda guerra civile americana sono altra cosa), in realtà The Hole lo cementifica in una essenzialità ottantesca, che la profondità del 3D solo parzialmente riesce a trasformare in spettacolo assoluto. E’ però proprio nella sua elementarità classica che risiede il fascino contagioso di un regista che non ha paura di amare con umiltà i personaggi e l’oscurità che si portano dentro. The Hole non sarà allora il miglior film di Dante, ma è cinema di resistenza non troppo dissimile da quello di George Romero. Quasi un piccolo trattatello pedagogico su come superare i propri fantasmi e diventare uomini, su come rimanere nel genere senza ricorrere ai trucchi e con la passione ostinata (e isolata) di un magico artigianato da esperienza collettiva.