VENEZIA 66 – "Woman on Fire Looks for Water" di Woo Ming Jin (Orizzonti)

Che la prima scena citi palesemente l’immortale La terra di Dovzhenko può sorprendere, ma sorprende ancora di più che Woo Ming Jin si riveli all’altezza di queste spropositate ambizioni. Il respiro possente della natura domina totalmente questo film grazie a un ritmo cullante, bloccato, contemplativo

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Dalle prime inquadrature si capisce subito che aria tira. Un padre con la testa reclinata che annuncia la propria morte e il conseguente ritorno alla terra, incalzato dal figlio, non può che far pensare al pressoché identico incipit dell’immenso La terra di Aleksandr Dovzhenko.
In effetti l’aria che tira in Woman on Fire Looks for Water, presentato a Venezia come work-in progress, è quella. Le storie di Ah Kan, che agli sgoccioli della propria esistenza fa i conti con un vecchio amore mai sopito (né corrisposto), e del figlio Ah Fei, alle prese con i tira e molla con la fidanzata e insidiato dalla figlia del (nuovo) datore di lavoro, sprofondano nel respiro possente, e inglobante, della natura. Il villaggio sulle coste malesi in cui le vicende sono ambientate è quasi il protagonista del film. Tutt’altro che mero sfondo o serbatoio di suggestioni, il paesaggio è davvero, qui, la materia prima. Più che integrarsi con la storia, le mille occasioni contemplative e la narrazione si incastrano, grazie a un eccellente montaggio, in modo che tanto le sospensioni lirico-paesaggistiche quanto la progressione del racconto balzino fuori sempre quando meno ce le si aspetta. Ogni inquadratura sembra piombarci in un altro mondo – e invece è sempre e solo quel piccolo villaggio, quel piccolo tratto di costa, visto da più vicino, da più addentro.
In questo ritmo cullante e bloccato, scandito dalle varie fasi della pesca e affini, c’è forse un altro, decisivo protagonista: il pesce. Si comincia col primo piano di una rana viva a cui viene tagliata la testa con le forbici, e si prosegue nel corso del film coi pesci boccheggianti sulle reti, con le anguille che vengono ripulite e così via: il pesce diventa così una specie di efficacissima rima interna del tessuto visuale, un leitmotiv che scansa ulteriormente l’effetto-cartolina e impone alla macchina da presa una sana aderenza “realistica” al terra-terra del luogo.
Il pesce, i protagonisti con le tenerissime vicende che li coinvolgono, il mare, la terra e la natura tutta si avvicendano in un movimento “a fisarmonica”, a cerchi che si allargano e si restringono e viceversa, dagli uni agli altri. Woo Ming Jin compone ogni inquadratura seguendo un equilibrio sottile, mai esasperato graficamente, in cui il rumore dell’acqua e la luce del sole (soprattutto declinante) la fanno da padrone, e ci espongono a un incanto ininterrotto.
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