VENEZIA 67 – “1960” di Gabriele Salvatores (Fuori Concorso)
Il percorso di emigrazione da un paesino del sud fino alla città simbolo dello sviluppo economico: Milano, visto attraverso gli occhi di un bambino. Un prodotto di finzione nei contenuti che però utilizza esclusivamente immagini di repertorio Rai, per raccontare l’Italia del boom.
Traspare una certa nostalgia per quell’Italia che, come spesso avviene in Salvatores, si mischia alla nostalgia per un periodo spensierato della vita. “Non sarò mai più felice come in quell’estate” dice, infatti, la voce fuoricampo del giovane protagonista. Ma, a parte gli anni dell’infanzia, non sembrano molte le cose verso cui provare nostalgia. L’Italia è sì quella del boom, l’anno è quello in cui viene coniata la parola consumismo, ma è la stessa Italia e sono gli stessi anni in cui milioni di cittadini che vivono nella miseria nei paesi del meridione si spostano al nord alla ricerca di una vita più dignitosa (prima ancora che delle comodità), favorendo l’industrializzazione e la diffusione del benessere.
Su questa rotta appunto si muove il percorso del film, con soste significative (benché strumentali) a Napoli (per mostrare il diffuso lavoro minorile ed il dilagante analfabetismo), a Roma (naturalmente per le Olimpiadi e la “Dolce Vita”), Riccione (per Fellini e la sua spensieratezza) ed infine Milano stessa che condensa gli aspetti peggiori dell’industrializzazione (l’alienazione, la perdita d’identità) ma anche i ritratti di quelli che ce l’hanno fatta, come un giovanissimo Celentano (anch’egli emigrato dalla Puglia a Milano) quasi incredulo di fronte al successo che riscuote come cantante rock, benche canti rigorosamente “fuori tempo”.