VENEZIA 68 – "Dark Horse", di Todd Solondz (Concorso)
Esibisce la sua tristezza l'opera del regista statunitense, ma ormai il suo giochino è smascherato. I suoi personaggi sono pedine di un labirinto mentale, quasi parodia da sit-com, un cinema dell'aldilà che non sa stare di qua, che vuole far sentire intelligenti, e la comicità, la risata è un senso di colpa. Ebbene, si è contenti di non farne parte. Vedi e dimentica.
Gent. mo Emiliani,ho letto la sua critica al film, e non riesco a capire se ciò che la spinge ad esprimersi sia incomprensione o malizia. Come può chiunque abbia visto questo film pensare che fosse meglio non averlo mai affrontato o quanto meno auspica a dimenticarlo?Sembra quasi che una misera esistenza di uno dei tanti non possa, perché troppo comune o poco eclatante, veicolare il benché minimo messaggio.Figlio legittimo di Solondz, anche questo film permette allo spettatore di immergersi in una vita altrui; con estrema lucidità e freddezza ci mostra la realtà più comune, quasi cercando di smuovere alla comprensione, o forse anche solo ad una pura consapevolezza.Ovviamente non si tratta di una commedia, questa è una tragedia e se qualcuno si aspettava di farsi due risate scacciapensieri ha sbagliato film, genere, autore.Personalmente un film da vedere, con pazienza e attenzione, come ogni buon film.