VENEZIA 68 – "Himizu", di Sion Sono (Concorso)
Galassia Sion Sono, prendere o lasciare. Himizu è un film bellissimo e sovversivo su una generazione sottoposta a un'insopportabile pressione. Una discesa senza respiratore in tutte le pulsioni più oscure e liminali di più generazioni giapponesi: fisicamente girato nel presente indecifrabile e alienato del dopoterremoto, alle spalle un passato nucleare remoto e prossimo. E il futuro, un urlo di rabbia e di riappropriazione, e forse per la prima volta, di speranza
Diversi anni fa 'Colors' pubblicava un numero speciale che alle foto di street fashion accompagnava le parole di alcuni giovanissimi giapponesi. Tra le dichiarazioni più innocenti, come il cibo preferito o l'amore per gli alberi, alcuni di loro raccontavano con indifferenza un disagio profondo accompagnato a una distanza quasi autistica dalle famiglie di origine e da un enorme senso di morte.
Con la stessa calma apparente, a soli 15 anni Yuichi Sumida (Sometani Shôta) gestisce una piccola attività di noleggio barche. Disilluso, abbandonato dalla madre e da un padre violento che lo vuole morto, afferma con forza il suo desiderio di essere una persona ordinaria: una talpa (himizu) che si nasconde sottoterra, perché essere speciale potrebbe voler dire diventare il mostro sociopatico in cui si sente trasformato dalla sua rabbia e dalla sua sofferenza. A Keiko Chazawa (Nikaidô Fumi) coetanea innamorata di lui e decisa a salvarlo da se stesso, con i genitori non va meglio, Sulle prime, le uniche forme di comunicazione tra i due sono una violenza esagerata da cartoon, che è quasi un gioco condiviso rispetto agli orrori che devono entrambi superare, e una poesia di François Villon usata come una filastrocca sull'inconoscibilità della propria natura. Ad avere a cuore Sumida c’è anche un piccolo gruppo di persone che ha perso ogni cosa nella catastrofe e si è accampato nei pressi della sua casa: cercano di tirare avanti, di ridere di nuovo, ma sono un’eccezione: fanno parte di quella parte di razza adulta che ha compreso come sta distruggendo il futuro un pezzo alla volta. Tutti sognano lo stesso sogno: cosa succederà dopo l’inondazione?
Sion Sono gira un anime con attori in carne e ossa, ragionando splendidamente, come forse sa fare solo Iwai, sulla sensibilità adolescenziale e sulla capacità introspettiva di alcuni manga contemporanei (Himizu è di Minoru Furuya). Da grande terrorista, in uno scheletro sonoro ossessivo e angoscioso, che fa mancare l’aria (il sottofondo costante delle cronache televisive sul terremoto, i suoni come di telescriventi nelle scene degli incubi – il terrificante paesaggio distrutto che si vede è reale, si tratta della zona di Ishinomaki) inserisce il celebre Adagio di Samuel Barber: un brano così drammatico e così inflazionato (da Platoon a Ma Mère, dai documentari su Auschwitz a qualche sconosciuto film tv, di solito a commentare la fine di un amore o un funerale) che quasi ci si stupisce che possa funzionare. Eppure tutto funziona, magnificamente, anche nei momenti più irrisolti o con qualche figura un po' meno riuscita (il ladro schizzato) grazie anche alle interpretazioni strepitose dei protagonisti (16 e 18 anni) e alla caratterizzazione precisa degli altri personaggi (il complesso passato del vecchio Yoruno o l’animo gentile di Keita – Mitsuru Fukikoshi, attore molto amato dal regista nipponico e già visto in Love Exposure e Cold Fish).
Himizu è una versione parossistica di The End of Evangelion di Hideaki Anno, col suo climax visionario che mette a nudo la confusione del giovane pilota Shinji in un durissimo cammino di crescita rispetto alla pressione che viene dall’esterno. Tornano alcuni temi dei lavori precedenti (soprattutto Suicide Circle, ma anche Noriko's Dinner Table): la ricerca di consapevolezza di sé, il bisogno di essere ascoltati, e la più spaventosa delle domande: chi sono io? e forse per la prima volta, si apre una chance per la speranza: malgrado le tendenze suicide, gli impulsi omicidi, la follia e la desolazione, questi bambini riemergono dalle macerie e non si lasciano piegare; nel finale di clamorosa intensità il “tieni duro, non mollare” che un Paese si ripete dopo la catastrofe, smette di diventare retorico e si trasforma in grido sovversivo, di una purezza intatta che non si lascia mettere al confino.