VENEZIA 68 – “Questo non è un film su molte cose, quanto sulle cose stesse”. Incontro con il regista Eran Kolirin

the exchangeIn Concorso, Hahithalfut (The Exchange), del trentasettenne israeliano Eran Kolirin, al secondo lungometraggio, dopo il successo del 2008, La banda, presentato a Cannes. Un uomo torna a casa in un momento della giornata in cui non è mai tornato, a un’ora in cui la luce la illumina da un angolo diverso e in cui il ronzio del frigorifero è l’unico suono che si riesca a sentire… Da quell’istante la prospettiva sulla propria esistenza, cambia, vira inesorabilmente

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the exchangeIn Concorso, Hahithalfut (The Exchange), del trentasettenne israeliano Eran Kolirin, al secondo lungometraggio, dopo il successo del 2008, La banda, presentato a Cannes. Un uomo torna a casa in un momento della giornata in cui non è mai tornato, a un’ora in cui la luce la illumina da un angolo diverso e in cui il ronzio del frigorifero è l’unico suono che si riesca a sentire. Da quell’istante la prospettiva sulla propria esistenza, cambia, vira inesorabilmente… In conferenza stampa presenti il regista, e i due protagonisti, Rotem Keinan e Sharon Tal

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Ci può raccontare la genesi di questo film?
Volevo a tutti i costi girare questo film che apparentemente sembra un film su molte cose, ma io credo piuttosto che sia un’opera sulle cose stesse. tavoli, le porte, le stanze, le sedie: tutti gli strani oggetti di cui si compone la nostra vita. “Strane“ non nel senso che stanno in agguato nell’ombra, o di una stranezza crepuscolare: strane di quella stranezza che è propria degli oggetti situati in piena luce. Il senso di mistero proprio della realtà delle cose, della realtà della vita.
 
Sembra evidente una certa affinità con il cinema di Antonioni e soprattutto con Blow-Up, proprio nel finale. E’ d’accordo?
Penso di si. Adoro ovviamente il cinema di Antonioni e lo trovo uno dei più grandi autori in assoluto. In effetti, mentre giravo il film mi rendevo conto delle affinità ed ero molto divertito al pensiero di trasporre in un certo senso Antonioni in Israele.
 
Il film è girato a Tel Aviv. Com’è stato lavorare in questa città?
La cosa che più mi interessava, quando ho scelto Tel Aviv, è stata quella di non riprendere le solite cose e lavorare nelle solite locations. Infatti credo che dal film venga fuori un lavoro sullo spazio che non consente di identificare perfettamente il posto in cui siamo. Ciò era un aspetto fondamentale per il mio lavoro, quello di non tipicizzare eccessivamente la città.
 
Cosa pensa di questa frase di Pessoa: “L’unico senso intimo delle cose e che esse non hanno nessun senso intimo”?
Penso sia quello che ho provato a raccontare in questo film: un uomo torna a casa ed entra nella propria vita in un momento in cui non si è mai trovato, osservandola con gli occhi del bambino che era. E ancora una volta la trova colma di mistero e di magici nascondigli. I corridoi, i viottoli, le sale delle caldaie.Un uomo si trova ad assistere alla propria vita dall’esterno…
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