VENEZIA 69 – "At any price", di Ramin Bahrani (Concorso)


Al suo quarto film l’americano di origini iraniane Ramin Bahrani, classe 1975, nel raccontare questa storia di terra, legami famigliari, denaro e sengue, salda il debito con la New Hollywood realizzando la sua opera forse più americana e allo stesso pessimista, certamente la più allineata a una tradizione cinematografica settantesca che vede tra i suoi modelli il cinema di Bogdanovich e il bellissimo Città amara di Huston

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Le immagini in super8 dei titoli di testa evidenziano subito l’intimità di un universo famigliare dentro il quale la macchina da presa di Bahrani si addentra per parlarci di un’America rurale, per certi versi inedita, fatta di campi di mais, trattori, ma anche battaglie capitalistiche tra piccoli imprenditori e grandi imprese. Henry Whipple è a capo di una fattoria agricola che da cinquant’anni ha proliferato nell’Iowa arrivando a recitare un ruolo importante nel campo della produzione di mais. Poiché il figlio Grant ha deciso di mollare tutto per andare a viaggiare in Sudamerica vede nell’inquieto Dean, il suo secondogenito, l’unico possibile successore all’interno della famiglia nella guida dell’azienda. Il ragazzo coltiva però la passione per le corse automobilistiche ed è ossessionato dal desiderio di lasciare il paese e diventare un pilota. Quando un’indagine di un organismo di controllo rischia di svelare alcune irregolarità nella semina compiute da Henry, inizia per la famiglia una resa dei conti che metterà a dura prova rapporti interni e prospettive future. È ancora la famiglia – come in molto cinema americano contemporaneo – il tema nascosto di questo amaro racconto sulla provincia e sulle dinamiche speculative dell’economia americana.

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Al suo quarto film l’americano di origini iraniane Ramin Bahrani, classe 1975, salda il debito con la New Hollywood realizzando la sua opera forse più americana e allo stesso pessimista, certamente la più allineata a una tradizione cinematografica settantesca che vede tra i suoi modelli il cinema di Bogdanovich e il bellissimo Città amara di Huston. Bahrani – che a differenza dei suoi precedenti lavori si misura qui con un impianto meno sperimentale, rinunciando tra le altre cose al consueto utilizzo di attori non professionisti, confrontandosi con due icone attoriali che da sole costituiscono un filo unica tra il cinema americano del passato (un grandissimo Dennis Quaid) e quello del futuro (il sorprendente Zach Efron) trova soluzioni visive semplici che fondono l’immagine con uno spazio che il giovane regista sa ridefinire senza cedere al gusto estetizzante di un linguaggio autoriale invasivo. Filma questa storia di terra, legami, denaro, bugie e sangue compassando i ritmi con una sospensione quasi sacrale – bellissime le due sequenze liturgiche e corali del film, quella dell’inno americano cantato prima della gara e del coro liturgico in chiesa; due momenti di cinema antropologico che Bahrani estende senza stacchi, quasi a voler estrarre una tensione coreutica che ricolloca la vicenda dei Whipple in un contesto umanistico più ampio. Allo stesso tempo At any Price affonda la sua materia in improvvise accelerazioni che, soprattutto nelle sorprendenti sequenze automobilistiche, graffiano la visione scuotendo il ritmo della narrazione e dando alla stessa una dimensione thriller in cui la posta in gioco non diventa tanto il destino imprenditoriale della famiglia Wipple, quanto la realizzazione/fallimento del Sogno Americano.

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