VENEZIA 69 – "Du hast es versprochen (Forgotten)", di Alex Schmidt (Fuori concorso)


La pellicola di Alex Schmidt saccheggia selvaggiamente diversi decenni di cinema horror, limitandosi però ai soli aspetti negativi: spaventi pre-confezionati e colpi di scena a tradimento sono la cifra stilistica di un film che si trasforma gradualmente in dramma psicologico, senza credibilità e senza rispetto per lo spettatore

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Alex Schmidt parte dall’horror, dai suoi luoghi, da un universo di paure e tensioni primordiali: un’isola staccata dal resto del mondo, una filastrocca per bambini, i fantasmi dell’infanzia che ritornano. Per più di un’ora Du hast es versprochen segue fedelmente i tracciati del genere, raccontando il riemergere improvviso del passato di Hanna, grazie all’incontro con l’amica di giochi Clarissa, venticinque anni dopo la misteriosa sparizione di una bambina della quale Hanna aveva perso completamente memoria. Muovendosi sempre sul sottile filo che separa la realtà dalla finzione (le visioni della protagonista sono allucinazioni?), Schmidt ricompone un poco alla volta il misterioso puzzle intorno al quale ruota la vicenda, abbandonando man mano l’horror soprannaturale per raccontare traumi e disgrazie tristemente terreni. Purtroppo però si appoggia a peso morto su modelli già di per sé non eccelsi, al punto che tutta la prima parte del suo film sembra una rivisitazione di Darkness e Fragile di Jaume Balaguerò: come nelle prime opere del regista spagnolo, infatti, la messa in scena privilegia l’aspetto più smaccatamente epidermico della tensione, giocando molto (troppo) sui colpi a tradimento della colonna sonora e sulle fulminee apparizioni alle spalle, come se decenni di spaventi “a comando” non avessero anestetizzato a sufficienza la sensibilità dello spettatore.

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Non c’è rivisitazione dei luoghi comuni, bensì solo una fastidiosa reiterazione di gesti e situazioni che ormai stonerebbero persino in uno Scary Movie qualsiasi; della serie, per intenderci: quando si richiude lo sportello del frigorifero, state pur certi che dietro comparirà misteriosamente una minacciosa figura. Du hast es versprochen si rivela quindi poco più di un bolso bignami del cinema horror più recente, che perde qualsiasi forma di credibilità filmica nel momento in cui Schmidt rimescola le carte in gioco e si limita alla fredda logica del colpo di scena, trasformando il suo film in un dramma psicologico assai poco credibile sotto qualsiasi punto di vista. Ancora una volta, la narrazione prende il sopravvento piegando a sé la funzione stessa della pellicola, ingannando lo spettatore in maniera subdola e superficiale, riducendo il tutto a un’evanescente bolla di sapone: il tipico esempio di cinema che non si vorrebbe vedere (più) all’interno un festival – e preferibilmente nemmeno altrove.

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