VENEZIA 69 – “Héritage (Inheritance)”, di Hiam Abbass (Giornate degli Autori)


Lo spunto poco originale della storia si rivela terreno fertile per riflettere sull’abissale differenza tra condizione femminile e maschile, tacito assenso e pubblica accusa, amore vero e imposizione contro natura. Il manifesto de La dolce vita, che campeggia nella stanza di Hajar, è un grido poetico all’evoluzione dei tempi, del linguaggio, del costume. Un invito a spogliarsi degli abiti mentali e a immergersi nelle fredde acque dell’ignoto, vincendo pregiudizi e discriminazioni.

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Molti si chiedono cosa sia la felicità. È ciò che pensiamo sia meglio per noi o quello che desiderano gli altri? La risposta potrebbe sembrare scontata. Per la giovane Hajar, cresciuta in un piccolo villaggio della Galilea del nord, non lo è affatto. L'anziano padre, prima di morire, vorrebbe vederla sposata con un ragazzo musulmano. Ma la figlia, ultima di cinque fratelli, ha una relazione con uno studente inglese conosciuto all’università. Il rifiuto di lasciarlo, solo perché straniero ed estraneo al suo mondo, getterà il caos su tutta la famiglia, minandone gli equilibri già precari.
 

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Esordio alla regia all’insegna del classicismo per l’attrice palestinese Hiam Abbass, che esplora le contraddizioni tra Oriente e Occiden

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Héritagete dal punto di vista della generazione più giovane, la stessa che vuole viaggiare fuori dai confini nazionali, imparare nuove lingue e seguire le mode americane. In questo confronto culturale, volto a smascherare le menzogne di un sistema di idee fortemente radicato nel pensiero moderno, la donna è considerata inferiore all’uomo, privata di qualsiasi libertà di espressione e sottomessa all’autorità del marito. E i fratelli di Hajar non fanno eccezione: Majda, il maggiore, non accetta i consigli della moglie per sanare i suoi debiti, negando di aver fatto degli investimenti sbagliati; Marwan diventa depresso quando scopre di essere sterile, convinto che solo la donna possa macchiarsi di tale vergogna; Ahmad non si occupa dei figli, maltratta la moglie e la tradisce con un’amica, oltretutto ebrea. E quando il padre – da tempo malato di cuore – muore, tutte le colpe ricadono su Hajar che viene tacciata di disonore ed esclusa dalla famiglia. L’eredità che grava sulle sue spalle implica una scelta: andare avanti per la propria strada, consapevole della perdita di una parte importante di sé, o restare fedele al paese che l’ha vista nascere.

Lo spunto poco originale della storia si rivela terreno fertile per riflettere sull’abissale differenza tra condizione femminile e maschile, tacito assenso e pubblica accusa, amore vero e imposizione contro natura. Il manifesto de La dolce vita, che campeggia nella stanza di Hajar, è un grido poetico all’evoluzione dei tempi, del linguaggio, del costume. Un invito a spogliarsi degli abiti mentali e a immergersi nelle fredde acque dell’ignoto, vincendo pregiudizi e discriminazioni.

 
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