VENEZIA 69 – "O luna in Thailandia", di Paul Negoescu (Settimana della critica)
Senza sentirsi forzato a ricorrere all’accessorio del tocco di lirismo romantico che il tema del “perdersi per poi ritrovarsi” potrebbe facilmente suggerire si mostra al contrario fedele a quel forte senso di precarietà estremamente reale, di costante vacillamento fra paura di perdere di vista ciò che conta davvero nella propria esistenza e allo stesso tempo terrore di scoprircisi abituati troppo in fretta, senza aver avuto l’opportunità di viverlo appieno, che attraversa tutto il film, forse non esaurendosi neanche sul finale
Ma è in occasione della notte di Capodanno, durante un ozioso principio di festeggiamenti di quello che si rivelerà un intenso e prolungato giro dei locali della città che Radu finalmente comprende quanto gli sia impossibile continuare a fingere dinnanzi agli altri e se stesso e compie una prima scelta definitiva: chiudere la sua storia con Adina, dopo una scenata di gelosia di quest’ultima. Sostanzialmente alla ricerca di sé, piuttosto che di un po’ di svago, il ragazzo, in giro tra una festa e l’altra con i suoi amici, porta finalmente alla luce quello che è il suo tasto dolente del momento: prova ancora qualcosa per l’ex ragazza, Nadia, che a quanto pare, è appena rientrata in città.
Il ragazzo aveva troncato la loro storia ufficialmente per paura della routine, ma da quanto confessa a un suo amico, proprio per paura di poter perdere ciò che stava cominciando ad assumere un ruolo piuttosto rilevante all’interno della sua vita.
Così, lanciandosi senza riserve in una ricerca ansiosa e concitata di discoteca in discoteca, Radu tenterà di giocare ogni carta a sua disposizione per cercare di ottenere ciò che crede possa essere fondamentale per la sua felicità in quel momento.
Senza sentirsi forzato a ricorrere all’accessorio (probabilmente del tutto formale) del tocco di lirismo romantico che il tema del “perdersi per poi ritrovarsi” potrebbe facilmente suggerire, O luna in Thailandia si mostra al contrario fedele a quel forte senso di precarietà estremamente reale, di costante vacillamento fra paura di perdere di vista ciò che conta davvero nella propria esistenza e allo stesso tempo terrore di scoprircisi abituati troppo in fretta, senza aver avuto l’opportunità di viverlo appieno, che attraversa tutto il film, forse non esaurendosi neanche sul finale. La situazione apparentemente assestatasi su un piano di equilibrio (forse grazie alla volontà di Radu, forse semplicemente per una fortunata combinazione di eventi), infatti nasconde in sé, il sapore di un deja vù, e quindi quasi di una condizione portata inevitabilmente a sbilanciarsi ancora.