VENEZIA 69 – “The Iceman”, di Ariel Vromiel (Fuori Concorso)
Il film di Vromiel è tutto trattenuto in un pulito autocontrollo che se nella prima parte “tranquillizza” lo spettatore immergendolo in una rivisitazione di atmosfere e luoghi che rimandano a una identificazione filmografica già assorbita (in parte Zodiac di Fincher, in larga misura i mafia movie), strada facendo costruisce le traiettorie di un melodramma malato, con la figura di una straordinaria Winona Ryder che tiene testa nella sua fragilità innocente ma allo stesso tempo carica di sfumature contraddittorie alla verticalità magmatica e monolitica di Michael Shannon
Spietato killer della mala, il Kuklinski di Michael Shannon è un magmatico corpo eretto ossessionato da una rabbia omicida dalle motivazioni ignote – sebbene siano presenti nel film flashback che rimandano a un’infanzia infelice – che sin dall’inizio segna un percorso di dannazione e violenza ineluttabile per il personaggio, ma allo stesso tempo marito e padre premuroso, dilaniato tra l’abbandono alla propria natura selvaggia e il legame coatto e forse prevalentemente cerebrale (centrale la scena in cui l’uomo scrive su un foglio di carta le parole da dire alla figlia il giorno del suo compleanno) con i propri cari. Tra esplosioni di violenza improvvise e sequenze scandite da una dilatazione della tensione quasi insostenibile – la lunga esecuzione di James Franco caratterizzata dall’inutile preghiera di quest’ultimo al cospetto di un impassibile Kuklinski – il film di Vromiel ci racconta molto della famiglia americana e non solo. Il suo è un film estremamente cupo e assillante, metà thriller, metà gangster movie, ma con le parti migliori che riguardano proprio l’intimità di una famiglia prevalentemente femminile messa a soqquadro dai germi distruttivi e omertosi della follia del protagonista. The Iceman è tutto trattenuto in un pulito autocontrollo che se nella prima parte “tranquillizza” lo spettatore immergendolo in una rivisitazione di atmosfere e luoghi che rimandano a una identificazione filmografica già assorbita (in parte Zodiac di Fincher, in larga misura i mafia movie), strada facendo costruisce le traiettorie di un melodramma malato, con la figura di una straordinaria Winona Ryder che tiene testa nella sua fragilità innocente ma allo stesso tempo carica di sfumature contraddittorie alla verticalità monolitica di un Michael Shannon sempre (troppo?) a suo agio nel costruirsi addosso personaggi statici e sottrattivi.