VENEZIA 69 – "The Reluctant Fundamentalist", di Mira Nair (Film d'apertura – Fuori Concorso)

Mira Nair, adattando il best seller internazionale di Mohsin Amid, punta dichiaratamente alla complessità: l’11 settembre come eterno spartiacque culturale, la finanza che sovrasta la politica, le mere informazioni che sovrastano lo sguardo. Ma il suo cinema conferma un'ostinata orizzontalità d’approccio, come se ogni dilemma (etico o estetico) potesse risolversi sempre in una limpida “letteralità” priva di ombre. E il fondamentalista riluttante Changez non va mai oltre il racconto, non riesce mai a riflettere, non sa più farci guardare…

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Promettimi che ascolterai l’intera storia, non solo qualche parola qua e là chiede il giovane professore pakistano (e sospetto terrorista) Changez Kahn al giornalista americano (e sospetta spia) Bobby Lincoln. Un ennesimo gioco di specchi, di “riflessioni” inter-culturali, di mondi che rifiutano ostinatamente di guardarsi.

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Mira Nair, adattando il best seller internazionale di Mohsin Amid, punta dichiaratamente alla complessità: l’11 settembre come eterno spartiacque culturale, la finanza che sovrasta la politica, le mere informazioni che sovrastano lo sguardo. Il rampante Changez “americano” che scala le vette di una multinazionale finanziaria trovando l’amore in una fragile e ferita ragazza newyorkese, deve improvvisamente fare i conti con il clima da guerra al terrore,da pregiudizi culturali, da permessi di soggiorno negati. Si trova insomma a dover fare i conti con chi veramente è: il Changez “pakistano”. Il tentativo fallito di andare oltre i confini di un'identità prestabilita lo pone statutariamente come testimone ideale di un' epoca: il suo racconto (dieci anni dopo, in un bar assediato di Lahore, tra studenti in protesta e agenti americani) non può tralasciare niente perchè solo quando la storia sarà dettagliata potrà far luce sulle “apparenze che ingannano” l’amico americano Bobby.

Bene, è questo l’intento del fondamentalista riluttante: andare oltre le facili apparenze. Ma è qui che inizia anche il nostro film. Perchè se da un lato Mira Nair rimane fedele al racconto del suo giovane narratore, dall’altro fallisce proprio nel primo intento da lui professato: configurare il concetto di complessità. Il cinema della regista indiana conferma in pieno la sua ostinata orizzontalità d’approccio, come se ogni dilemma (etico o estetico) potesse risolversi sempre in una limpida “letteralità” priva di ombre.  Anche le interessanti trovate di sceneggiatura – l’associazione diretta e non banale tra il mondo della finanza anni ’90 e le le guerre degli anni ’00; oppure il rapporto di strettissima parentela tra il fiume di informazioni non autenticate e la violenza cieca che ne scaturisce – sono costantemente risolte in un semplicistico meccanismo di causa-effetto. Persino il richiamo costante a generi codificati come il thriller politico o il melodrama non riesce mai a scardinare una progressione anestetica che "dice" troppo e fa "sentire" poco. Mancano clamorosamente sia l’ambigua riflessione sugli abissi ipermediali del post 11 settembre (come Nessuna Verità di Ridley Scott), sia la sana ambizione di ribaltare il “campo” verso una pura narrazione che riconsegni lo sguardo diretto sul fatto (come Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry). Insomma, il "personaggio" Changez non va mai oltre il racconto, non sa far guardare Bobby e noi con lui…proprio come una complessa storia che incontra una cieca regia.

 

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