VENEZIA 69: "Witness: Lybia", di Abdallah Omeish (Fuori concorso)

witness lybia

Primo di una serie di documentari prodotti da Michael Mann per la HBO, incentrati sulle esperienze dei fotoreporter in zone di guerra, Witness: Lybia adotta una sguardo assolutamente cinematografico sulla realtà, interrogandosi sul significato delle immagini e sull’etica del lavoro di fotografo. Un documento straordinario in grado di ricordarci, ancora una volta, che vedere significa capire.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

witness lybia"I veri soldati sono quelli che combattono in prima linea. I veri soldati sono quelli che muoiono." Con queste parole il fotografo statunitense Michael Christopher Brown ci introduce a Witness: Lybia, resoconto visivo della sua permanenza nel paese nordafricano dopo la caduta di Gheddafi. E proprio come i soldati, i giornalisti devono stare in prima linea e utilizzare il loro obiettivo come arma, in virtù di quella componente etica del proprio lavoro che non può mai venire meno. Anche a costo della vita, come nel caso di Tim Hetherington, fotografo britannico ucciso a Misurata da una granata mentre documentava lo svolgersi della guerra civile libica, e alla cui memoria è dedicato il film.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 

Primo di una serie di documentari prodotti da Michael Mann per la HBO, incentrati sulle esperienze dei fotoreporter in zone di guerra, l’opera del giovane regista libico Abdallah Omeish riflette e mette in discussione il ruolo e la necessità di uno sguardo giornalistico nei luoghi “caldi” del pianeta. Dopo la cattura e uccisione di Muammar Gheddafi, ripresa e divulgata dalle televisioni di tutto il mondo, la maggior parte dei giornalisti lì presenti fino a quel momento ha improvvisamente abbandonato la Libia: per il giovane Brown, invece, il momento migliore per tornare sul posto (dopo la morte dell’amico Hetherington, in occasione della quale rimase solamente ferito) è stato proprio quello successivo alla rivoluzione. Perché il compito del fotografo è quello di mostrare la realtà, sempre, nel tentativo (arduo, ma mai vano) di illuminarne le infinite tonalità di grigio: non esistono più buoni né cattivi, le opposte fazioni si confondono, e le uniche ragioni diventano quelle della sopravvivenza dopo 42 anni di regime del Raìs. Intelligentemente, Omeish dà voce alle ragioni dei ribelli così come a quelle dei nostalgici della dittatura, per raccontare la deriva di un paese che ora vive sulle macerie di una situazione pronta ad esplodere nuovamente in qualsiasi momento: a causa di un governo incapace di soddisfare i bisogni primari del suo popolo, ma soprattutto a causa degli innumerevoli interessi esterni nei confronti di quello che rimane uno degli stati più ricchi di risorse al mondo. La rivoluzione ha portato morte, distruzione e miseria là dove per anni la dittatura aveva garantito comunque cibo e stabilità per i fedeli del regime: come dare torto a chi ha visto morire i propri figli sotto il crollo di una casa, anche se in nome di una ribellione “giusta”? Il film non offre risposte, come un qualsiasi servizio televisivo da prima serata casalinga: piuttosto, invita alla riflessione. Quindi, in maniera assolutamente necessaria, pone interrogativi fondamentali.

 

Cosa significa raccontare per immagini? Quali responsabilità ne derivano? Può il proprio lavoro contribuire a migliorare la vita di molte persone? E’ a queste domande che cerca di rispondere Witness: Lybia, adottando uno stile puramente cinematografico e manniano: dagli aspetti più tecnici (l’utilizzo delle musiche), a quelli puramente stilistici. Come nel cinema di Mann infatti, anche qui tutto si riduce a una questione di sguardo: è l’occhio il vero protagonista di Witness: Lybia, con tutto ciò che questo comporta. La realtà è un tessuto magmatico e imperscrutabile, composto da una moltitudine indefinita di elementi ai quali la cinepresa cerca di dare una forma compiuta; perché vedere significa capire, e solo così si può prendere coscienza della situazione propria e di quella altrui. “Se fosse accaduto nel mio paese, mi comporterei alla stessa maniera?” si domanda Brown, fotografando l’orrore della morte. La risposta, sua come dovrebbe essere quella di chiunque, non può che essere “probabilmente”.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array