VENEZIA 70 – "Gravity parla di difficoltà e rinascita." Incontro con Sandra Bullock, George Clooney e Alfonso Cuaròn

conferenza stampa gravity
Conferenza stampa assai gremita quella che ha accolto il film d'apertura della 70esima edizione del Festival di Venezia. Alfonso e Jonas Cuaròn, George Clooney e Sandra Bullock hanno presentato il thriller fantascientifico Gravity. "E' un film che parla di difficoltà e rinascita", ha detto il regista messicano

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conferenza stampa gravityConferenza stampa assai gremita quella che ha accolto il film d'apertura della 70esima edizione del Festival di Venezia. Alfonso e Jonas Cuaròn (rispettivamente regista e cosceneggiatore), George Clooney e Sandra Bullock hanno presentato il thriller fantascientifico Gravity.

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Da dove nasce un'idea così complessa e particolare come quella di Gravity?

Alfonso Cuaròn. Ci piaceva fare un film che raccontasse due personaggi in un ambiente molto ostile. L'idea era anche quella di prendere spunto dalla crisi economica che intorno al 2007-2008 è scoppiata nel mondo. Nella sceneggiatura ci siamo così serviti del tema dei detriti nello spazio e delle avversità da affrontare nello spazio come nella vita. Nelle nostre vite spesso incontriamo avverssità e difficoltà. Qui una delle sfide era quella di snellire il più possibile la narrativa e basarsi sulle psicologie dei personaggi.

Jonas Cuaròn. Ci piaceva anche scrivere un film che creasse suspense e che allo stesso tempo trattasse  temi più alti.
 

Come avete preparato i vostri personaggi?

Clooney. Sandra e io  abbiamo fatto molto yoga insieme (ride).

Bullock. Sono stata fortunata. Mi sono documentata sulle attrezzature che doveva usare il mio personaggio e nell'aspetto fisico ho voluto che il mio personaggio fosse particolarmente androgino. Volevo depurarmi di una certa componente della femminilità nel mio corpo, anche perchè il personnaggio che interpreto sotto certi punti di vista decide di rinunciarvi.

George durante le riprese sei mai riuscito a credere davvero di essere solo nell'universo?

Con tutta la troupe è difficile.  Noi due eravamo in questo light box in cui avevamo questa luce addosso con l'illusione di oggetti che ci venivano addosso  a tutta velocità e l'esercizio era quello di controllare le  reazioni fisiche e i movimenti come stessimo davvero nello spazio.

Qual è stata la sfida più importante dal punto di vista tecnico?

Alfonso Cuaron. Certamente è stata capire come le cose reagiscano in assenza di gravità. Quello dello spazio sotto certi punti di vista è il peggior scenario possibile se si intende realizzare un film realistico. Dovevamo liberarci del concetto di peso e così abbiamo dovuto reimparare i movimenti e la percezione dei movimenti nello spazio. Gli attori dovevano assorbire questa perdita di peso nello spazio. Il loro è stato un lavoro che richiedeva isolamento e una interpretazione molto astratta.

Nello spazio volete raccontare il vuoto esistenziale di oggi?

Alfonso Cuaròn. Il valore metaforico del film era molto importante. Abbiamo un personaggio lanciato verso il vuoto. Parliamo di difficoltà e rinascita e ovviamente parte di questa rinascita è l'accettazione della morte. Alla fine questo personaggio che vive nella sua bolla  ha bisogno di uscire, rimettere i piedi per terra. Rimettere i piedi a terra e tornare a camminare. E' questo quello che fa e in questo volevamo ricollegarci all'evoluzione dell'uomo.

 

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